L’onorevole Giuseppe De Mita, classe 1968, già vicepresidente della Regione Campania e attualmente vicesegretario nazionale dell’UdC, è stato ospite a Radio Club91 nella finestra sull’attualità spalancata, come di consueto ogni lunedì, da Samuele Ciambriello. E questa volta, la finestra affacciava dritto dritto sul Meridione e i meridionalismi, per interrogarsi sul futuro di questo nostro Sud.
Interrogandosi sull’assenza si programmi volti specificamente a riqualificare e risollevare il Mezzogiorno, De Mita parte dai luoghi comuni, gli stessi luoghi comuni che «hanno portato a una lettura distorta della realtà, e c’è una sottovalutazione generale della questione del Mezzogiorno, del suo peso, del suo rilievo. Basta guardare all’ultimo provvedimento di una certa rilevanza che è lo Sblocca Italia». Stando alle parole dell’onorevole, non può bastare soltanto un rimpasto di governo per rimediare a quella «china che abbiamo preso dalla fine degli anni Novanta», quando cioè «ha prevalso la lettura leghista e una oggettiva timidezza e retrocessione delle classi dirigenti meridionali, e abbiamo accreditato il luogo comune, cioè la cultura del divario per cui noi dobbiamo lamentarci, e se non ci lamentiamo non abbiamo la possibilità di concorrere ad avere risorse aggiuntive. Secondo me il piano va ribaltato: a noi non serve un ministro, ma ci serve un’idea; non serve avere uno strapuntino, serve una rivendicazione politica forte; non serve un meccanismo di giochi di equilibrio, serve un’iniziativa». Ed è qui che entra in ballo l’ipotesi di un piano d’azione che coinvolga le istituzione su un raggio più ampio: «Secondo me, la regione Campania può svolgere un ruolo trainante, perciò io non sottovaluterei la logica, non dico della coalizione tra le regioni, ma di quella dimensione, perché se vogliamo riarticolare i poteri degli enti locali sul territorio dobbiamo rafforzare il potere dei comuni e alleggerire i poteri di gestione della regione. Abbiamo una quantità di cose che, chiuse nel perimetro amministrativo regionale, non hanno la possibilità di svolgersi e di svilupparsi in maniera compiuta, anche perché, se vogliamo uscire dai luoghi comuni, non c’è un solo Mezzogiorno, c’è una quantità di Sud diversificati».
Ma l’attualità campana trova un interessante punto di osservazione, per così dire, calcistico, se pensiamo, ricorda Ciambriello, e come ci ha dato modo di constatare recentemente il Napoli in trasferta, che a Varsavia è stato edificato un nuovo stadio coi finanziamenti europei. È forse questo uno dei più grandi handicap del Mezzogiorno, quello di non riuscire ad utilizzare tutti i fondi europei che andrebbero sfruttati anche per creare lavoro e futuro. Anche noi, aggiunge De Mita, «dobbiamo riprenderci il nostro futuro», in altre parole sentirci protagonisti della nostra terra come sta accadendo in Polonia, «smettere i panni della lamentela e ritagliarci uno spazio di iniziativa. Se noi cominciamo a porre questioni che sono al di fuori del solito cliché meridionalista giocando una partita di avanguardia» allora riusciremo ad allinearci a quanto sta già accadendo nel Mediterraneo, anche sul piano della crescita economica.
Per chiudere, uno sguardo su De Luca e su questi primi giorni da Presidente della regione: «Non va fatto l’errore della giunta precedente che non ha utilizzato il periodo iniziale per darsi una prospettiva. Certo, in Campania la quantità di emergenze che aggrediscono il quotidiano ci fa stare troppo sul quotidiano stesso. Secondo me noi abbiamo bisogno di una prospettiva, di una visione lunga. Se noi trasmettiamo un’idea di riequilibrio della Campania tra le sue aree costiere e quella interna, un’idea di raccordo in termini di macroregione, e poi incominciamo a realizzare fatti che testimoniano la realizzazione di questo disegno, facciamo molto di più che se risolviamo un’emergenza al giorno. Perché un’emergenza al giorno ci lascia nella logica del pronto soccorso». E riguardo al futuro sindaco di Napoli? La risposta sta nel cercare un accordo tra forze politiche che provano a prendere consapevolezza del momento drammatico che attraversa la nostra società, «perché la questione non è l’offerta, la questione è il disorientamento della domanda. Io credo che il PD sia l’interlocutore necessario, e che il PD è troppo spesso chiuso nelle sue logiche e dinamiche interne. La questione non dovrebbe essere discutere delle primarie», ma, in sostanza, di come ricomporre il tessuto sociale della città.