Un enorme transatlantico squarcia la quiete marina di Vivara. L’incontaminato luogo, rimasto tale per millenni, viene minacciato da un ammasso di cavi e metallo. Con arroganza l'”Andrea Doria” solca il canale tra Procida ed Ischia. Le piccole barche di pescatori, assi di legno e chiodi, sono il nano davanti al gigante. Il transatlantico è l’invasore che rompe l’armonia della comunità degli isolani. In un momento, tutto potrebbe essere perduto: le barche distrutte, il lavoro sprecato… De Luca traccia il paradosso dell’esistere: quanto abbiamo costruito si può annullare in un attimo, in modo inspiegabile ed insensato. I più deboli a scomparire.
«In uno di quei pomeriggi successe uno spettacolo raro. L’Andrea Doria, il transatlantico che faceva le rotte con l’America e aveva scalo a Napoli, passò davanti alla spiaggia dei pescatori. Nel breve tratto di mare tra l’isola e lo scoglio di Vivara si affacciò la prua gigantesca che passava a tagliare la rotta ai battelli di spola. L’isola si ammutolì. Di solito sfilava al largo, la si vedeva da lontano, ma per quella volta la nave cambiò rotta e s’infilò nel canale tra le isole. La scorsi per primo e chiesi a Nicola: “Ma che sta facendo?”. Nicola scattò in piedi, mi ordinò di portare le coffe verso casa e dette voce agli altri. La spiaggia dei pescatori fu in subbuglio, tutti si precipitarono fuori. Non capivo che cosa li agitava. Quelli che avevano barche all’ancora davanti alla spiaggia corsero a salirci sopra e a remare verso il largo. Chi aveva barche a riva si dava voce e forza per tirarle più in secco possibile. Intanto la nave si presentava all’imbocco del canale col bianco impennato del mare al taglio di prua […]. Traversò il canale e tutto fu piccolo in faccia alla sua altezza, anche il castello. Le barche riuscite a salpare presero le prime onde, le vedemmo saltare sulle creste enormi e i pescatori erano cavalieri di rodeo in groppa a una bestia che scalciava la poppa al cielo […]. Ecco il pericolo che non capivo, le onde. Che vennero a riva con forza di flagello, sollevarono le barche, le poche rimaste all’ancora, e le scaraventarono a riva e a riva la schiuma del mare arrivò fino alle case. Fu una raffica di sei onde giganti e altre più piccole […]. I pescatori si davano ancora voce e mano, io non avevo mai visto una macchina così meravigliosa e terribile tanto da vicino».
(E. De Luca, “Tu, mio”, Mondadori, 1998, pp.49-50).
Posta all’estremità nordoccidentale del Golfo di Napoli, tra le isole di Procida e Ischia, l’isola di Vivara, insieme al promontorio di Santa Margherita, rappresenta una porzione del più antico cratere vulcanico locale, uno dei sette crateri di Procida, emerso dal mare circa quarantamila anni fa.
Vivara è stata soggetta a movimenti che hanno inciso sulla variazione del livello del mare in tempi recenti, movimenti di emersione e sommersione dell’isola.
Gli scavi di Vivara, iniziati nel 1976, indicano la presenza di attività marinare micenee in Occidente, fino a fare di Vivara un centro nodale, un luogo sicuro di approdo, per i collegamenti verso le isole e le coste dell’Italia centrale in un periodo a cavallo tra il XVII ed il XV secolo.
“L’isola di Vivara – come del resto l’intera regione Campania – è del tutto priva di giacimenti metalliferi. Nonostante ciò, nell’arco dei secoli che videro la sua fioritura nel corso della media Età del Bronzo, nella prima metà del II millennio a.C., divenne uno dei principali centri per il commercio del metallo del bacino centrale del Mediterraneo, crocevia obbligato nelle rotte fra Oriente e Occidente.
Questo suo ruolo era legato alla particolare posizione geografica, che la rendeva un ideale punto di controllo per l’accesso al Golfo di Napoli e, conseguentemente, un formidabile avamposto per l’apertura al Medio e Alto Tirreno.
Essa era, infatti, fornita di porti naturali e strategicamente ben difesa, grazie alle alte scogliere, da eventuali attacchi nemici: era sufficientemente vicina alla costa campana da rendere agevoli i contatti con essa, ma nello stesso tempo abbastanza distante da sconsigliare tentativi di attacco da parte di eventuali comunità ostili della terraferma”.
(Ulixes, La guida dei Campi Flegrei).
La ristretta comunità indigena vivarese e i micenei verosimilmente vivevano fianco a fianco in un fervore pacifico e costruttivo di scambi e d’attività.
L’interesse per la preistoria di Vivara nasce nel 1937, quando l’archeologo Giorgio Buchner, lavorando alla sua tesi di laurea, Vita e dimora delle isole flegree, rinvenne, durante i lavori di scavo nella parte settentrionale dell’isola, a punta Capitello (e contemporaneamente nel sito di Castiglione d’Ischia), le prime testimonianze di ceramica micenea sul versante tirrenico d’Italia.
I romani consideravano Vivara un luogo di caccia e le acque del Golfo di Gènito, all’interno del cratere, un vivaio di pesci. Il cratere, infatti, all’epoca più alto di oggi e quindi quasi del tutto chiuso, isolava dal mare un grosso bacino d’acqua. Da qui deriva il nome Vivarium, divenuto poi, probabilmente Vivario; Vivaro compare per la prima volta nei documenti storici del XIV secolo, e infine Vivara.
Posta all’estremità nordoccidentale del Golfo di Napoli, tra le isole di Procida e Ischia, Vivara è un sito altamente rappresentativo dell’ambiente insulare mediterraneo, per le sue caratteristiche geomorfologiche, vulcanologiche, botaniche e faunistiche.
È un polmone verde, uno dei pochi, sede di una macchia mediterranea risplendente e fiammeggiante al tramonto.
Vivara non ha arenili. L’isolotto, infatti, presenta fianchi molto ripidi su entrambi i lati, e per questo è difficilmente accessibile dal mare, per la quasi totalità del suo perimetro, salvo alcuni punti dove, grazie anche all’opera dell’uomo, è possibile un approdo un po’ più agevole.
Arrivando a Vivara da Procida, occorre attraversare il ponte dell’acquedotto, quindi si mette piede sulla punta Capitello. Salendo per una lunga rampa di gradini fatta costruire in onore della principessa Maria José che voleva visitare l’isola, si prende il sentiero principale che attraversa l’isola longitudinalmente, da nord-est a sud-est. Si prosegue fin quasi al centro dell’isola, dove si trova un gruppo di case rurali, comprendente una casa padronale (del Seicento) e una casa colonica.
Nel 1634 vi si andava a caccia, specialmente degli animali fàttivi introdotti dalle Calabrie circa un secolo prima da Alfonso d’Avalos d’Aragona; in quegli stessi anni si cominciò a mettere a coltura l’isoletta pur continuandovi l’esercizio venatorio.
Con l’avvento di Carlo III di Borbone al trono di Napoli, nella seconda metà del Settecento, Vivara è nuovamente destinata esclusivamente alla caccia. È in questi decenni che viene costruita la Casa del Caporale, al cancello d’ingresso dell’isola, pare con l’autorizzazione del re, dal caporale della guardia del corpo di Carlo III, che nel congedarsi da questo suo ufficio, chiese il favore al re di costruirsi questa casetta.
Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, Vivara, a causa della sua felice posizione strategica, divenne allora un avamposto militare sul mare, dove i francesi costruirono anche due fortini adibiti a postazione per batteria di cannoni, allo scopo di prevenire tentativi di sbarco dei legittimisti borbonici asserragliati a Ponza e Ventotene. I fortini, in parte smantellati poi dagli inglesi, sono ancora visibili oggi a nord e all’estremo sud dell’isola.
Nel 1818 Vivara è ceduta come demanio pubblico al Comune di Procida che nel 1833 la cede in affitto perché sia coltivata; s’inizia così la grande trasformazione del verde dell’isola, che viene per circa due terzi distrutto e sostituito con vigneti e oliveti, in seguito a grossi lavori di terrazzamento.
Il ponte, oggi di proprietà dell’acquedotto campano, è stato costruito nel 1957 dalla Cassa per il Mezzogiorno per convogliare l’acqua dalla terraferma ad Ischia. Al suo interno ci sono le tubazioni, che, seguendo un percorso sotterraneo lungo il sentiero principale dell’isola, proseguono poi verso Ischia per vie sottomarine.
Nel 1974 Vivara fu dichiarata “Oasi di protezione naturale”, dal 1979, inoltre, l’intero territorio è sottoposto al vincolo archeologico.[information]…[/information]