Da cosa dipende il successo delle università telematiche, perché oggigiorno sono in costante espansione? E come si può migliorare il settore della ricerca e dell’istruzione in Italia? Su questi e altri quesiti prova a rispondere ai microfoni di Samuele Ciambriello e di Radio Club91 il rettore di Università telematica Pegaso, Alessandro Bianchi. Romano, classe 1945, Bianchi è urbanista, è stato già rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, e ha un interessante passato alle spalle.
L’università telematica si sta espandendo, con tante nuove sedi e nuovi corsi. Vorremmo parlare con Lei degli aspetti positivi di UniPegaso.
«Ci stiamo espandendo di molto, siamo arrivati a circa 42 sedi in tutta Italia, a dimostrazione del fatto che l’università telematica non è staccata dal territorio. Gli studenti che abitano in diverse parti d’Italia possono far riferimento alle nostre sedi, incontrando persone, partecipando alle attività; parlo di sedi che si trovano a Torino, Venezia, Bologna, Firenze, fino a Agrigento, Bari e via dicendo. Siamo in forte espansione, questo è sicuro. I dati definitivi relativi al periodo d’immatricolazione li avremo a dicembre, ma ci aggiriamo intorno ai 35mila studenti tra i corsi di laurea e i corsi post laurea».
Oggi tanti giovani e tante persone che hanno un lavoro si accostano all’università telematica per prendere un titolo di studio, per cominciare a vivere diversamente la cultura. È in corso una riscoperta di questo strumento innovativo?
«Intanto direi che è un segno dei tempi: la rivoluzione informatica, e in particolare telematica, cioè della comunicazione a distanza, ha fatto presa ovunque e ha radicalmente trasformato la nostra società, il nostro modo di essere, i nostri trasporti, le nostre attività industriali, ed è assolutamente logico che entri anche nel settore della formazione. C’è da dire che i giovani, che sono quelli ai quali noi ci rivolgiamo in prevalenza, hanno una particolare attitudine, manovrano molto più agevolmente un computer o uno smartphone e quindi si trovano praticamente a loro agio; poi c’è la fascia delle perone che, svolgendo già un attività lavorativa e avendo altri impegni professionali, preferiscono poter studiare nelle ore che hanno a disposizione a casa, in ufficio, dove vogliono, magari la domenica, e questo possono farlo aprendo un computer e accedendo alla piattaforma che noi mettiamo loro a disposizione».
Ciambriello ricorda agli ascoltatori anche i trascorsi in politica dell’intervistato: «Sì mi è capitato anche questo, sono stato Ministro dei trasporti (dal 2006 al 2008, durante il secondo governo Prodi, ndr). Mi piace sempre dire che l’unica cosa buona che ho lasciato è una legge sulla sicurezza stradale con la quale abbiamo evitato migliaia di incidenti e quindi migliaia di vittime ogni anno». L’accenno alla carriera politica di Alessandro Bianchi apre la strada a un discorso sull’attualità locale e nazionale. Secondo Lei, che cosa un governo nazionale o regionale dovrebbero fare di più nei confronti dell’università e della ricerca scientifica?
«La cosa è molto semplice: si dovrebbe investire almeno sulla media dei Paesi europei. Noi siamo terribilmente lontani dalla percentuale del PIL di Paesi come la Germania, la Francia, l’Inghilterra, anche come la Spagna, questa è la ragione principale del gap che ci separa da questi Paesi in termini di ricerca. Investire nell’alta formazione e nella ricerca è investire sul futuro; questo purtroppo sembra che i nostri governi non lo capiscano bene. È in corso l’ennesimo tentativo di riforma del settore universitario italiano, io spero che in quest’occasione capiscano che ci sono molte cose da rimettere a posto, certamente non possiamo andare avanti se le risorse a disposizione sono così scarse».
Se Lei dovesse raccontare la metamorfosi dell’Italia di oggi, da che cosa direbbe di essere rimasto sorpreso?
«La cosa da cui sono rimasto più colpito in questi anni è l’involuzione del Paese. Appena sette o otto anni fa non la pensavo così, mi sembrava che pur in una grande difficoltà questo fosse un Paese in crescita progressiva. Il fatto che ora ci sia il segnale di una ripresa, che l’anno prossimo avremo mezzo punto in più nel PIL non tocca il problema. Vedo una mancanza di idee in giro, nel parlamento non ci sono le persone giuste, con le giuste competenze e col giusto atteggiamento rispetto al ruolo di gestore della cosa pubblica. C’è un abbassamento di livello della qualità dell’intera classe dirigente di questo Paese».
Dal momento che la sede centrale di UniPegaso è a Napoli, Lei quale città, e quale regione, sta incontrando in questi mesi?
«Devo dire che ovviamente conoscevo città e regione, anche perché da diversi anni sono membro del consiglio di presidenza della SVIMEZ, e la trovo una regione viva, sicuramente piena di problemi e di contraddizioni ma che mostra una vivacità e un atteggiamento che io credo possa servire a superare anche le grandissime difficoltà che ci sono. Voglio fare un esempio, e spero che non me ne vogliano i miei concittadini romani: Roma non è una città vivace, Roma oggi sembra una città depressa, non a caso abbiamo avuto questa crisi lacerante al comune. A Napoli avverto un’aria diversa nonostante i suoi problemi siano ancora più complicati di quelli di Roma. Ci vorrebbe anche una maggiore attenzione da parte dello stato centrale di fronte ad una città che rappresenta uno dei tre o quattro riferimenti sul campo nazionale su cui questo Paese dovrebbe puntare, con la sua straordinaria tradizione storica, le sue enormi potenzialità dal punto di vista culturale e paesaggistico, e anche per l’atteggiamento che vedo nelle perone e che mi sembra positivo e propositivo. Se fosse sostenuto anche dalle politiche centrali potremmo vederla come una dei grandi riferimenti non solo nazionali, ma nell’intero Mediterraneo, come Napoli in fondo è stata per molto tempo».