La lettura delle cronache politiche quotidiane induce al pessimismo anche chi, come me, è incline per natura a vedere sempre nelle cose il loro lato positivo.
Il ruolo centrale del PD nella vita nazionale non collima con la qualità e la composizione del suo gruppo dirigente, a livello nazionale e, ancor di più, a livello locale.
Non rivendico affatto il ritorno a vecchi stili e metodi che, proprio perché superati dalla storia e dai tempi, non potrebbero più avere gli effetti positivi che ebbero ai loro tempi.
Non solo sostengo la necessità del rinnovamento della vita politica ma aggiungo che su questa strada si sono fatti pochi, timidi ed inefficaci tentativi al di là dei clamori di facciata.
Una vecchia canzone di Brassens diceva:”Trompettes de la renommée vous étes bien mal embouchées”, Trombette della fama,siete imboccate male, sulle labbra di chi non vi sa suonare.
Questa è la situazione attuale.
Cosa c’è di più vecchio del rispondere ad una sfida politica col ricorso alla burocrazia, a regolamenti inventati ad hoc, sottraendosi al confronto?
La forza innovativa del PD sta tutta nelle primarie che ne hanno costituito il marchio di nascita. E che succede? Che quando nasce una candidatura poco simpatica all’attuale gruppo dirigente e tuttavia dotata di una carica politica propria che potrebbe aiutare il PD ad uscire dalla palude in cui sguazza, se le inventano tutte. Perfino quelle di annullarle per mancanza di concorrenti. Mancanza a questo punto molto sospetta perché frutto di un machiavellico patto clandestino fra addetti ai lavori che solo per questa via vedono il mezzo di non convocarle.
Insomma l’assenza di candidati a Napoli è il risultato della mancanza di spirito battagliero nei personaggi locali o è un ordine di scuderia giunto dall’alto per evitare un confronto difficile in cui la eventuale vittoria di Bassolino sarebbe molto probabile? Essi lo sanno bene.
Allo stato dei fatti il PD a Napoli difficilmente arriva al ballottaggio . Che facciamo? Ci rassegniamo o andiamo alla sfida a viso aperto senza pensare a personaggi inventati o paracadutati e senza legami con la realtà cittadina?
Non a caso una persona seria come Dario Scalella ha rifiutato l’invito a fare il paracadutista di turno
Renzi afferma di volere il partito della nazione. A parte lì equivoco della denominazione, Matteo potrebbe chiarire cosa intende per Nazione?
A guardare la composizione della popolazione leopoldiana nascono molte perplessità. Essa è composta ,pressoché totalmente, da bassa e media borghesia professionale ed imprenditoriale con la completa assenza del mondo del lavoro. Sono ceti sicuramente importanti anche perché in grado di gestire il sistema comunicativo nel quale però l’annuncio supera ed evita il contenuto. Il loro comportamento ricorda molto l’ottocentesco “Enrichissez –vous” di Filippo d’Orlèans. Un politico attento, e Renzi lo è, sa che l’Italia non è fatta solo di avvocati, commercialisti e esperti di comunicazione. Fra l’altro si tratta di categorie rinchiuse nei loro ghetti corporativi ferramente decisi a rendere intoccabili i loro pretesi diritti acquisiti.
L’operaio dei Cantieri di Palermo, la anziana sola col minimo di pensione, il coltivatore diretto delle zone interne in difficoltà, il ferroviere, il giovane in cerca di avvenire, le mamme adolescenti sole, gli invalidi senza tutela, il bracciante africano e clandestino a dieci euro al giorno, l’abitante delle periferie depresse, il bimbo lasciato per strada per assenza di asili nido, i lavoratori in lotta per la difesa del posto di lavoro, l’artigiano in difficoltà, il ragazzo senza scuola, fanno anch’essi parte della Nazione. Renzi lo sa ma non li vuole alla Leopolda dove preferisce parlare ai ceti arrembanti, senza storia e perciò incapaci di prevedere un avvenire di moderna civiltà.
Un paese veramente democratico si realizza solo se la distribuzione della ricchezza nazionale avviene in modo il più possibile equo soprattutto mediante un sistema di welfare finanziato pubblicamente don le entrate fiscali. Fa specie dover ripetere questi elementari concetti a Napoli, la città in cui di queste cose, già nel ‘700, ne parlavano Genovesi, Filangieri e Galiani.
La riconquista di Napoli dovrebbe essere un elemento strategico per un governo che si prefigga di affrontare n modo nuovo il dualismo economico nazionale. Lasciamo che la democrazia dispieghi i suoi effetti: andiamo liberamente alla scelta del candidato Sindaco, stringiamoci tutti, senza mal di pancia, a sostegno del vincitore e lavorando molte duramente nel confronto con i cittadini potremo anche farcela sconfiggendo l’astensionismo che è un sintomo di debolezza della democrazia.