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IL MANICOMIO CHIUDE MA NON MUORE: LA CHIUSURA DELL’OPG DI NAPOLI

Il 21 dicembre dello scorso anno ha chiuso l’OPG di Napoli Secondigliano, primo di sei a chiudere in tutta Italia per effetto della legge che ha decretato il superamento di quelli che erano i vecchi manicomi giudiziari. Questa è senz’altro una buona notizia, basti pensare che l’unica chiusura di un manicomio criminale risale al 1975, quando, dopo il sacrificio di Antonia Bernardini, morta per ustioni riportate mentre era legata nel letto di contenzione, fu chiuso quello femminile di Pozzuoli.

E’ forse però eccesso di trionfalismo, definirlo un evento storico, seppure segna il superamento di un’istituzione legata alla visione lombrosiana di istituti speciali per i folli autori di reato, il cui orrore, negli ultimi anni, è stato più volte denunciato. A noi appare, certo, un evento importante, meritato frutto di lunghe lotte e mobilitazioni, che va colto con soddisfazione, e, tuttavia, anche con prudenza e senso critico, in una visione complessiva delle politiche della salute mentale.

La chiusura di luoghi incapaci di cura, cronicari della sofferenza destinati alla difesa della società, all’interno dei quali alla pena si aggiunge il supplizio, rappresenta un passaggio importante di quel processo di superamento dell’istituzionalizzazione della sofferenza psichica che ha conosciuto il suo culmine nella legge 180 e nel superamento dei manicomi civili in Italia. Purtroppo, la legge 81/2014, che, dopo tre proroghe, aveva imposto la chiusura degli Opg al 31 marzo scorso non sembra avere il portato rivoluzionario della riforma basagliana.

Se la legge 180 ha smantellato il vecchio impianto della legge psichiatrica del 1904, spezzando il connubio tra pericolosità e follia, la legge 81/2014 lascia sostanzialmente invariato il meccanismo di internamento psichiatrico delle misure di sicurezza, nato durante il fascismo. Il primo risultato, già constatato in questi mesi, è che le strutture destinate a sostituire gli Opg, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), in teoria l’estrema ratio a cui ricorrere, diventino centrali e si riempiano di nuove persone provenienti dalla libertà, internate con misure di sicurezza provvisorie.

Diminuiscono così i posti disponibili, si ritarda la chiusura definitiva di tutti gli Opg (anche quello di Aversa resta ancora aperto), le strutture nate come provvisorie, con tutti i loro limiti, diventano man mano definitive, comprese quelle campane di Mondragone e Rocca Romana, quest’ultima lontana dai centri abitati e dal circuito dei trasporti pubblici. in attesa della Rems di Calvi Risorta, è stata inaugurata, a inizio dicembre, quella di San Nicola Baronia. Mentre le autorità in parata ne celebravano il taglio del nastro, la comunità locale e gli organi di stampa, dopo settimane di polemiche, festeggiavano il mancato arrivo nella struttura del “cannibale di Torrione”. Il racconto pubblico di un “pericolo sventato”, dice quanto, in realtà, questi luoghi e le persone che sono costrette ad abitarli, siano definiti da discorsi che conservano e perpetuano stigmatizzazioni e marchi di rifiuto e paura.

Le strutture sostitutive degli Opg, (Rems e i reparti penitenziari di osservazione psichiatrica), sembrano riproporre, pure su scala ridotta, logiche e prassi manicomiali. Il recente viaggio del Comitato “Stop Opg” in 4 Rems restituisce un quadro a tinte fosche, con notevoli differenze tra le diverse realtà. Gli stessi operatori hanno denunciato il rischio di riprodurre “luoghi di scarico” nei quali il mandato custodiale inficia il rapporto terapeutico. Il punto nodale della legge 81/2014, i progetti terapeutici individualizzati, stenta a diventare fulcro di un nuovo sistema di presa in carico, senza un vero modello di riferimento, e con differenze applicative che lasciano spazio, anche qui, a nuove forme di istituzionalizzazione del privato sociale.

Ciò che realmente manca a questa riforma, è un intervento complessivo sul sistema di assistenza psichiatrica che dia centralità alla cura della sofferenza mentale, puntando su centri territoriali, interventi integrati, restituzione dei pazienti alla piena cittadinanza. Si innesta piuttosto in un sistema di progressivo smantellamento dei servizi e ripiegamento specialistico della psichiatria, incapace di confrontarsi con altri saperi, con diverse componenti sociali e culturali per costruire orizzonti di libertà da realizzare quale prima possibilità terapeutica.

A Napoli chiude il primo Opg ed è una buona notizia, non si chieda però di celebrarla.

Piuttosto, speriamo, possa diventare l’occasione per tornare a riflettere e operare in direzione dello smantellamento di logiche e prassi manicomiali oggi metamorfizzate e diluite, ma sempre più pervasive e predominanti. Anche per questo, chi è impegnato per la definitiva chiusura degli opg chiede oggi anche di sostenere e rafforzare la campagna “E tu slegalo subito”, contro la contenzione meccanica e farmacologica utilizzata in cliniche e raparti ospedalieri. Perché la salute, e ancor prima la salute mentale, si tutela e promuove solo a partire dalle garanzie dei diritti e della dignità delle persone.

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