Le risorse nazionali del Fondo nazionale politiche sociali sono state progressivamente ridotte.
Voglio dare solo un dato. Basti considerare che se nel 2004 le risorse del Fondo Nazionale Politiche Sociali ammontavano a oltre 1.734 milioni di euro, nel 2015 sono stati stanziati appena 312 milioni di euro.
E che la Regione Campania, nei cinque anni di gestione Caldoro, ha investito per politiche sociali tra le risorse del fondo regionale, meno di cinque euro per abitante.
In queste condizioni spetta ai Comuni farsi carico dei tagli alla spesa sociale. Sappiamo bene che poi ancora di più tutto questo ricade sulle spalle dei cittadini e degli operatori sociali.
Sui primi ricade la mancanza di un’offerta qualificata di servizi, sugli operatori ricadono tutte le debolezze del nostro sistema di welfare e i ritardi e le inefficienze della macchina amministrativa che, vuoi per i tagli, vuoi per i limiti imposti dal patto di stabilità, vuoi per vera e propria incapacità di gestione ritarda i pagamenti di oltre due anni.
Che fare?
1) Ci vogliono più risorse, questo deve essere chiaro a livello nazionale e regionale. Un sindaco forte deve sapere esigere le giuste risorse, non solo in base alla popolazione ma anche sulla base dei bisogni di quella popolazione.
2) occorre spendere meglio le risorse che ci sono programmando la spesa sociale su specifici assi di intervento e sapendo coniugare l’utilizzo delle risorse nazionali, regionali e comunali con quella dell’Unione Europea.
3) occorre che una amministrazione pubblica riduca gli oneri amministrativi di tipo formale richiesti agli operatori sociali e sappia valutare la sostanza dei progetti sociali e la loro validità reale, non solo sulla carta.
4) governare i servizi in modo integrato (non è più concepibile, ad esempio, progettare la refezione scolastica senza considerarne gli effetti sulla salute o sulla integrazione da parte dei bambini con diverse abilità o con appartenenze eterogenee, culturali, religiose, ecc.);
5) ridurre gli strumenti coercitivi e aumentare quelli che incentivano i comportamenti considerati virtuosi.
6) costruire processi partecipativi basati sull’aumento delle informazioni (sui servizi e chi li eroga), con le rispettive Carte dei Servizi e delle forme di comunicazione diretta dei cittadini.
Credo che ormai tutti siamo consapevoli di affrontare una crisi che, per dirla con le parole di Robert Castel(Cfr. Robert Castel, L’insicurezza sociale. Cosa significa oggi essere protetti, Einaudi, Torino, 2011), ha determinato la destabilizzazione di chi è stabile e l’insediamento nella precarietà di giovani e disoccupati. Nessuno è più disponibile a una politica di annunci, meno che mai gli operatori sociali e i cittadini che attendono risposte concrete ai loro bisogni.
Lanciare una sfida alle nuove, crescenti disuguglianze, è un imperativo etico.
Una battaglia che ha una forte connotazione morale, ma che è anche necessaria per dare maggiore sicurezza sociale e favorire la crescita economica.