Parte Seconda
Nel 1799 un ufficiale russo, passando sul “Ponte della Maddalena”, ove “in illo tempore” scorreva il vecchio Sebeto, si meravigliò della grandezza del ponte medesimo, rispetto “alla pochissima acqua che vi scorreva sotto”. Ai margini del Sebeto, sotto lo stesso Ponte, Carlo III d’Angiò, mandava a marcire la canapa ed il lino; quel sito era primo chiamato “Territorium Plagiense Parte Foris Fluvium” ed il Ponte “Pons Padulis” o “Guizzardo” e si vuole costruito da Roberto il Guiscardo, Duca di Puglia, che assediò la Città di Napoli nel 1078. Dopo molte peripezie questo ponte (quasi distrutto) fu rifatto nel 1556 per ordine del Viceré di Napoli Ferdinando Alvares de Toledo, dal Luogotenente Generale del Regno, Bernardino Mendosa e chiamato da allora “Ponte della Maddalena”, mentre con Carlo III nel 1747, il ponte fu abbassato per consentire il passaggio dei veicoli e, in seguito, onde consentire il passaggio dei tram.
Tommaso de Santis, nel libro Storia del tumulto di Napoli, che tratta la rivoluzione di Masaniello, così narra le vicende del cadavere di Masaniello: “Quivi lo rizzarono, e lavato che l’ebbero al Sebeto, lo portarono a Port’Alba”. In alcune foto di fine Ottocento si possono scorgere dei contadini che trasportano merci e animali affondando fino alle ginocchia nella melma del presunto Sebeto. Un’altra importante testimonianza dell’esistenza di questo fiume ci viene da Raffaele De Cesare, che nel suo libro La fine di un Regno, così si esprime in merito ad alcune innovazioni avvenute nel Regno: “Nel 1858 il Marchese Francesco e il Cavalier Luigi Patrizi chiedevano il permesso di costruire due mulini sulle rive del Sebeto, in una loro tenuta presso la pianura della Bolla”.
Viene il dubbio che il Sebeto sia esistito solo nelle leggende popolari che lo vedono in eterna lotta con il Vesevo, il fuoco, per ottenere il predominio del territorio. E forse basterebbe una leggenda a ricordarlo se non fosse che la stessa Napoli, che l’ha nascosto tra le sue tenebre, quasi a volerlo anche beffeggiare, porta ancora i segni della sua esistenza.
L’epigrafe in marmo di età imperiale, rinvenuta scavando nei pressi di Porta del Mercato ne è una prova. Tale epigrafe, infatti, rappresenta un tempietto in onore al Sebeto che porta la scritta “P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho” a testimonianza del fatto che P. Mevio Eutico consacrò un secello al leggendario fiume.
Nel XX secolo, il rapido sviluppo dei quartieri orientali della città di Napoli cancellò quasi ogni traccia del mitico corso d’acqua.
Le trasformazioni urbane che hanno caratterizzato il territorio hanno prima ridimensionato e, in seguito sepolto il corso del fiume. Attualmente è visibile in via Lufrano a Casoria e nella zona orientale della città, e precisamente prima di arrivare al Ponte della Maddalena, in via Francesco Sponsilli appena si svolta da via Ferraris. È un tratto di una ventina di metri situato sotto un ponte dell’autostrada.
Oggi al Sebeto sono attribuiti numerosi problemi di natura geologica che affliggono quelle opere pubbliche della città che, costruite nei pressi del corso sotterraneo del fiume, sono soggette a periodici fenomeni di infiltrazione.
Nel 2009, durante gli scavi per la costruzione della piattaforma del TAV a Casalnuovo, in località Tavernanova, emerse improvvisamente dal sottosuolo acqua di risorgiva. Le proteste di alcuni abitanti ivi residenti, che denunciavano allagamenti continui, convinsero a operare pompaggi per estrarre l’acqua. Ma ci si avvide che il flusso era continuo e non cessava nonostante gli sforzi.
L’azienda del TAV, per non ritardare oltre i lavori, fece realizzare una serie di condotti a cielo aperto per lo scolo dell’acqua che sgorgava di continuo, e che continuavano fino a via Filichito all’estremo confine fra Casalnuovo e Volla.
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Tre storielle legate al fiume
1. La storia di Sebeto e Megara è la storia di un amore felice vinto dalla morte. Una storiella, un raccontino ingenuo. Apparentemente.
Narra di un signore molto ricco che si chiamava Sebeto e abitava in una campagna nei dintorni di Napoli, in un bellissimo palazzo tutto di marmo. Era innamoratissimo di sua moglie Megara, che lo contraccambiava con uguale sentimento. Per renderla felice dissipò tutto il suo patrimonio: non gli interessava nient’altro al di fuori dell’amore di lei.
Un giorno ella volle andare a fare un giro in feluca nel golfo di Napoli. Verso la riva Platamonia però il mare era sempre in tempesta, i marinai non riuscirono a governare la barca e Megara morì annegata. Divenne, al contatto con la schiuma del mare, un bellissimo scoglio.
A quella vista Sebeto sentì spezzarsi il cuore e si sciolse in amare lacrime per molto molto tempo. Tutta la sua vita divenne acqua, per gettarsi a mare e correre dove Megara era morta. Questa è la storia del fiume di Napoli (il Sebeto, appunto) e del bellissimo scoglio di Megara che impreziosisce il golfo della città più bella del mondo.
2. Si narra che il fiume sposò la Sirena Partenope e dalla loro unione nacque la ninfa del fiume, Sebetide, il cui figlio, Ebalo fu re di Palepoli.- Una leggenda posteriore narra che Virgilio, considerato nella cultura popolare napoletana un mago, cercò di liberare la città dalla piaga delle mosche: uscì fuori le mura nella zona orientale e vi pose una mosca d’oro che per incantesimo allontanò gli insetti dalla città.
3. Esisteva un tempo, una piccola spiaggia dell’antica Neapolis, dove, fin dalla notte dei tempi, acqua e fuoco lottavano per essere padroni di questa terra. I loro nomi erano Vesuvio e Sebeto: il monte Vesuvio rovesciava in mare torrenti di fuoco e ovunque erano pietre arse e Sebeto frantumava sassi, li trascinava in mare e formava distese di sabbia lungo la costa.
Quando i due giganti stanchi riposavano, sul loro campo di battaglia fioriva la verde vita: le gialle ginestre si inerpicavano tra i sassi del vulcano sin quasi alla bocca di fuoco, i cespugli di mirto e lentisco intrecciavano le loro piccole foglie nella fertile pianura e l’erica rosata spingeva le sue radici fin nella sabbia salata. Il fiume quieto, scorreva tra sponde verdi e fiorite e impigrendosi, girava qua e là nella piana sabbiosa aggrovigliandosi su se stesso.
I primi coloni conoscevano e rispettavano come Dei Vesuvio e Sebeto e narravano delle loro lotte per conquistare la bellissima ninfa Leucopetra, figlia di Nettuno.
Leucopetra era contesa da due giovani, Vesevo e Sebeto che, nonostante i suoi ripetuti rifiuti, non si arresero mai per riuscire a conquistarla. Disperata e avvilita, per sfuggir al loro inseguimento, si gettò in mare e si trasformò in pietra. Allora, Vesevo, infuriato, si trasformò in una montagna che rovesciava fuoco, fino a raggiungere la sua amata ninfa nel mare, mentre Sebeto pianse così tanto, da trasformarsi in un rivolo che si versava in mare.