In “Polvere di Las Tunas” (Graus Editore), presentato venerdì al Teatro Bellini, Marco Martone offre alle vecchie generazioni, consapevolmente o inconsapevolmente, il ricordo di un tempo passato. E infatti il ritratto della città cubana – che dà il nome al pamphlet – dei suoi abitanti, della sua vita lavorativa e dei suoi ritmi si accosta senza sforzo al vissuto del dopoguerra di un qualunque paese del meridione d’Italia.
Un brivido per chi ricorda lo svolgersi della vita quotidiana in questi piccoli posti del bel Paese. Una emozione per chi tante tradizioni le ha ascoltate con attenzione solo attraverso la voce dei nonni. Con sapienza e maestria, dunque, l’autore descrive le strade, gli ambulanti e le usanze di questa terra lontana e nel contempo accompagna il lettore per le strade della sua Napoli. Egli è infatti non solo un cronista della terra cubana, ma un viaggiatore attento che unisce all’osservazione l’introspezione e affianca il lettore in un viaggio intimistico fatto di giochi dei ragazzi di quartiere, di foto di panni stesi sui balconi, di passione per il calcio Napoli. Un dualismo affascinante e suggestivo, che tuttavia non sottace una delle piaghe più orribili e più esecrabili nella storia dell’uomo: il turismo sessuale.
Un aspetto che l’autore non approfondisce ma che tratta in maniera sufficientemente corredata di particolari da trasmettere al lettore tutto il disappunto e l’orrore possibili. Ma Cuba, e Las Tunas per essa, è “uno scrigno socchiuso nel quale si intravedono commozione e inquietudine ma anche eccitazione, gioia e vitalità”. E l’autore è riuscito a dipingere con le parole, emozioni che solo chi è andato a “La Flaca” ha provato.