Il dottor Caligari non voleva crederci, ma ora dice che il dato è evidente: al mondo c’è un mucchio di gente che muore dalla voglia di farsi immortalare in selfie, anche i più acrobatici e complicati, in compagnia di divi politici, di star dello spettacolo, di campioni dello sport. Per quanto il vezzo sia oltremodo costoso – il dottor Caligari pensa soprattutto alle forze dell’ordine e ai body guard, ma anche agli stessi protagonisti che a suo avviso dovrebbero essere presi da impegni più pressanti – nessuno osa opporsi con la determinazione e il vigore che il caso richiederebbe. Forse nel timore di incorrere in clamorosi cali di popolarità sempre a portata di mano, azzarda il dottor Caligari, con tutti gli apologeti del selfie che bazzicano i social network e che sarebbero pronti a domandare “ma che male c’è?”.
Al dottor Caligari la cosa suscita un misto di fastidiose reazioni. Non sa dire se a colpirlo di più sia il senso del ridicolo, oppure la percezione del provincialismo che scorge marcata, oppure ancora l’impressione di trovarsi di fronte alla deriva di un culto dell’immagine che gli provoca l’orticaria. Probabilmente perché il dottor Caligari vede rovesciati i termini a confronto per la consacrazione fra gli individui di una subalternità del tutto infondata. Come se il divo fosse tale a prescindere dall’esistenza dei suoi fans: un madornale ossimoro, secondo il dottor Caligari. Ma così il fan si annulla di fronte al divo al di là di ogni pulsione feticista che il dottor Caligari dichiara di comprendere parzialmente. Non solo, il dottor Caligari si spinge oltre e arriva persino a scorgere una perdita di dignità da parte del fan: chi, se non un addetto ai lavori, ricorda il nome e il cognome dell’assassino di John Lennon? Domanda il dottor Caligari arciconvinto di cogliere nel segno.
Va da sé, non è detto che il dottor Caligari sostenga qualcosa di sballato del tutto: la tecnologia ci ha messo del suo, moltiplicando a milioni i pixels delle fotocamere dei nostri cellulari, in modo tale da far imporre gli apparecchi non tanto per le virtù “telefoniche” quanto per quelle multimediali. I social network hanno provveduto a fare il resto, offrendo miliardi di pratiche bacheche al posto degli ingombranti album fotografici nei quali la posa in cui da ragazzino (tra un nugolo di braccia protese) stringi la mano da due metri di distanza a quel cestista biondo – come si chiamava?, ah sì Bob Morse – si mischia a quella della tua prima comunione.
Non so dire. Forse il dottor Caligari sarà diventato un irriducibile iconoclasta? Ma è certo che a sentir lui bisognerebbe assolutamente cercare di contenere questo fenomeno. Se ne dice convinto: ogni società che voglia definirsi civile dovrebbe fare qualcosa contro questa consuetudine che finisce per rubare autostima all’individuo. Sebbene – riconosce il dottor Caligari – ci si trovi noi tutti di fronte ad un vezzo antico, ben più consolidato rispetto all’avvento di telefonini e social network. Perché la sete di un seppur brevissimo momento di celebrità è roba vecchia. Il dottor Caligari ricorda “Cavallo pazzo” Mario Appignani che nel ’92 sale sul palco di Sanremo per gridare che il festival è truccato. Poi rispolvera dal ’97 le comparsate di Gabriele Paolini, che da Sanremo alle piazze d’Italia s’acquatterà più o meno stabilmente, anche nel terzo millennio, sullo sfondo delle telecamere. Ma trent’anni prima ci aveva pensato Andy Warhol a teorizzare i 15 minuti di celebrità, inserendo la nota espressione in un catalogo fotografico per una mostra in Svezia, carpendo pari pari la trovata al collega Nat Finkelstein: a proposito lui avrebbe diritto ad un risarcimento di almeno 15 minuti. Ha ragione il dottor Caligari. E ancora prima, ricorda quel Gargiulo che popolava le barzellette degli anni Sessanta, perché a furia di pose in compagnia di uomini famosi era diventato più celebre del Papa (“Chi è l’uomo vestito di bianco accanto a Gargiulo?). Non fu Gargiulo un selfista, il primo, sebbene ante-litteram? Domanda il dottor Caligari.
Ecco, poi piomba il silenzio. Prima che il dottor Caligari azzardi: lui proverebbe a imporre una sorta di clausola compromissoria in grado di scoraggiare anche i più audaci. Si spiega: scende Gesù Cristo in terra, tu ti vuoi fare un selfie con lui? Bene. Ma poi ti devi far carico per lo meno del peso della croce. Altrimenti nisba. Non so a voi, ma al dottor Caligari piace.