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IL CASO DI FEDERICO PIZZAROTTI. QUANTO È DIFFICILE DIALOGARE COI VERTICI DEL M5S?

La sospensione di Federico Pizzarotti dal Movimento 5 Stelle richiama uno scenario già visto, e non per le solite ragioni. La prima cosa che viene in mente, e a ragione, è l’espulsione di altri membri da parte dei vertici, da Serenella Fucksia a Lorenzo Battista, da Fabrizio Bocchino a Francesco Campanella, tutti per non aver rispettato i dettami e non essersi allineati al regolamento interno del movimento. Il che potrebbe anche essere una cosa buona, se uno sbaglia poi va punito.

Ma non è solo per questo. Vi ricordate di Rosa Capuozzo, il sindaco di Quarto coinvolto in un’inchiesta per infiltrazioni camorristiche? Bene. Anche lì, se la memoria non ci inganna, quando la sentenza piovve sulla testa di Rosa Capuozzo, il primo cittadino si difese dichiarando che aveva cercato a lungo di contattare il direttorio, ma invano. E tra i nomi venuti fuori spuntò anche quello di Luigi Di Maio. A questo punto l’associazione di idee dovrebbe già venire naturale.

Il sindaco di Parma, Pizzarotti, ha dichiarato anche lui di aver cercato Di Maio, e per giunta per mesi, come sostiene. Non è soltanto una semplice coincidenza, il discorso è più profondo. A noi che guardiamo da fuori, arriva sempre più forte l’impressione che un velo nero impedisca la visione di quel che c’è ai piani alti del movimento. E non soltanto a noi comuni cittadini, ma anche a chi di quel movimento è parte integrante. La base (che poi si parla di sindaci e parlamentari, neanche fossero semplici iscritti) che non riesce a comunicare con chi comanda, e chi comanda che decide per tutti sulla base di uno statuto fantasma, senza possibilità di replica, senza possibilità di confronto.

Diciamocelo, l’idea di un movimento politico che chieda al popolo di esprimersi attraverso la rete dà un’idea di democrazia che poi fa rima col dialogo e la condivisione. Espulsioni e sospensioni che vengono imposte dall’alto un po’ meno. Insomma, se neanche i politici ci capiscono niente di come funzioni il regolamento interno, la millantata trasparenza non è poi così tanta.

C’è anche un’altra cosa, però, che solletica la curiosità. Come mai questi grillini cominciano a lamentarsi soltanto quando vengono fatti fuori? Voglio dire, se Federico Pizzarotti sostiene che non esista un regolamento, non si poteva farlo notare un po’ prima? Per esempio – ed è soltanto un esempio – quando i suoi colleghi in Senato sono stati cacciati via. Anche allora non doveva esserci traccia del regolamento. Perché, dunque, si accorgono di quel che non va soltanto quando la patata bollente passa a loro? Non potrebbero – e anche questo è un esempio – riunirsi in massa e chiedere al famigerato direttorio di istruirli sulle regole del movimento, o è davvero troppo complicato avere a che fare con Grillo e i nomi a lui più vicini?

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