di Andrea America
Non mi sono mai riconosciuto in posizioni personalistiche. Sono socialista, riformista, componente della direzione regionale del Pd e voto per la candidata a sindaco Valeria Valente. Alle ultime primarie ho sostenuto convintamente Antonio Bassolino, ne ho reso note le ragioni politiche, le reputo oggi più che mai valide e spero che proseguano. Tuttavia, non posso definirmi un bassoliniano. Non mi reputo un soldato di una specie di milizia, ma un compagno che ha condiviso scelta e linea politica, conservando però autonomia di giudizio e di visione. Sono e resto amico di Bassolino e un suo sincero estimatore politico. Tra le due cose ritengo comunque che vi sia differenza: nell’ultima accezione accreditata il “bassoliniano” sembrerebbe corrispondere al militante della sinistra iscritto al Pd che preso atto della sconfitta alle primarie si dice orientato a non votare la Valente. Mi guardo bene dalle generalizzazioni, ma è innegabile che una cospicua parte del fronte bassoliniano oggi pur rivendicando l’appartenenza al Pd dichiari di non sostenerne il candidato. Essere amico di Bassolino per come io concepisco la militanza politica impone invece di rispettare il risultato, nonostante tutto, delle primarie, e lavorare per l’affermazione del Pd e della Valente, seppure il compito è arduo e impossibile. Sono decisamente contrario al tanto peggio, tanto meglio. In gioco vi sono due concezioni del partito e della militanza profondamente diverse. La prima figlia di una visione nostalgica, se vogliamo settaria dell’idea di partito e di militanza, che stenta a concepire il Pd come un moderno aggregato di culture riformiste che si fonda sull’idea di intangibilità della provenienza originaria (sia essa democristiana che post comunista), tale da giustificare scelte politiche clamorosamente in contrasto con il partito. La seconda, espressione di una moderna idea di partito riformista che ha come connotato peculiare il rispetto della dialettica interna figlia del pluralismo culturale del quale il Pd è espressione, ne rispetta le dinamiche e quando sconfitta, pur non rinunciando a critiche feroci, non va oltre lo steccato, consapevole che le battaglie si conducono all’interno. In questa prospettiva e facendo mia la seconda visione voterò e mi adopererò nel mio piccolo per il successo della Valente. E questo nonostante non mi entusiasma il suo programma, il suo modo di comunicare, l’alleanza interna ed esterna che la sostiene e il suo mentore nazionale. E nonostante il Pd non sia il partito che volevo. Attenzione, non sto invocando l’antica disciplina di partito in edizione riveduta e corretta, la questione è più complessa. Piaccia o non, il Pd al momento, con tutti i suoi limiti e il suo cinismo. è l’unico contenitore, o meglio lo definirei incubatore di una moderna politica riformatrice che maggiormente si accosta ad un’idea di socialdemocrazia. Per quanto sia funestato soprattutto a Napoli da lacerazioni intestine, da miopie politiche, e perché no, da una totale inadeguatezza dei gruppi dirigenti, costituisce l’alternativa più credibile al populismo e alla demagogia. Mi auguro che vinca o quanto meno si affermi e di certo non come tributo al renzismo e con buona pace di alcuni sedicenti bassoliniani, ma perché è preferibile uno schieramento arrangiato di centro sinistra a quello populista o di centro destra. Lo preferisco perché sono convinto che col centro sinistra è più possibile fare una battaglia politica adeguata per cambiare il Pd, per costruire una alternativa a esso e per realizzare un nuovo patto di cittadinanza. Ritengo che a Napoli ci sia uno spazio a sinistra da coprire dentro e fuori il Pd, con una lotta politica, che sarebbe senza prospettive se puntasse a far vincere la destra pur di penalizzare il Pd. A Valeria Valente, per contro, mi permetto sommessamente di fornire qualche spunto di riflessione. Innanzitutto, tenere presente quel vecchio detto cinese che dice: “quando si va ad attingere l’acqua dal pozzo bisogna sempre ricordare chi l’ha scavato” e porre al primo posto il rispetto della dignità delle persone. Tenere presente le sfide di oggi, la crisi della politica e la familiarizzazione del linguaggio. Il candidato sindaco di una moderna forza democratica nella più problematica metropoli europea deve avere la capacità anche sotto il profilo emozionale di attrarre le sconfinate fasce di disagio e il sonnacchioso e indeciso ceto medio. Deve evitare l’uso frequente dell’io e puntare direttamente al noi, proponendo in maniera diretta una politica che per adoperare un lessico a me familiare “promuova il merito e tuteli il bisogno”. Deve farsi promotore di un nuovo patto sociale per la città, capace di disegnare nuove vocazioni economiche, partendo dal rilancio delle sconfinate periferie che a Napoli, unico posto in Europa, sono anche nel centro del tessuto urbano. Assumere l’impegno di contrastare, eradicare il sottobosco di faccendieri, personaggi oscuri, talvolta contigui con la criminalità che intossicano la politica, i suoi luoghi, i suoi rituali. Deve promuovere una vera e propria rivoluzione culturale e organizzativa che non potrà mai essere condotta senza valorizzare e promuovere un’alleanza con il mondo del lavoro e del sapere. Senza sviluppare e consolidare i valori lesi e ostacolati.