Sara Di Pietrantonio, una giovane donna di 22 anni, è stata trovata semicarbonizzata nella periferia di Roma. Immediata la reazione del web: orrore, rabbia, accuse. Tutti ad indignarsi per questo nuovo caso di femminicidio.
Se ne parlerà ancora qualche giorno sui giornali, nei talk show televisivi con i soliti opinionisti, poi tutto sarà dimenticato fino alla prossima vittima che andrà ad accrescere il numeroso elenco delle donne uccise per mano di un innamorato perso.
Ormai conosciamo tutti il percorso comunicativo di queste notizie, al punto che ci siamo quasi abituati ad accettarle come normali, curiosi di seguire il caso come se si trattasse di una fiction, comodamente seduti sul divano di casa, al riparo di uno schermo che fissa il limite tra il dentro e il fuori, tra noi e gli altri.
Purtroppo non è una fiction, non è un giallo, non è un noir, è la realtà di cui facciamo parte e potremmo anche noi trovarci nello schermo se non cerchiamo la soluzione a quest’orrore che è diventato macroscopico.
Convegni, sportelli d’ascolto e d’aiuto, corsi di autodifesa sembrano essere solo palliativi, non risolvono il problema. Da più parti si chiedono pene più severe nella possibilità che abbiano la forza di agire da deterrente per porre freno a questa barbarie.
Barbarie è forse il termine più adatto a definire la condizione di ferocia con cui vengono commessi i delitti di genere, una ferocia sempre più bestiale perchè se un tempo si ricorreva a un coltello o a una pistola, oggi si utilizza altro. Credo che bisogna partire proprio dall’analisi del cambiamento dei mezzi per capire il mutamento che è avvenuto nel rapporto uomo-donna.
Sara è stata arsa viva, altre sono state uccise con l’acido.
Qualcosa sta cambiando ed è su questo qualcosa che dobbiamo soffermare la nostra attenzione.
Usare il fuoco o l’acido è segno che c’è intenzione di distruggere un corpo, è il corpo l’oggetto amato e odiato al punto da non volerne lasciare traccia:la persona a cui appartiene deve scomparire, la storia che si è vissuta con lei va cancellata come se non fosse mai avvenuta.
Il fuoco, l’acido sono mezzi vigliacchi perché per uccidere con un coltello o una pistola occorre coraggio, si deve puntare, fissare la vittima e concedere alla stessa l’opportunità di accorgersi e prevenire il gesto. Con il fuoco, con l’acido no, basta lanciare il liquido a caso sul corpo, ovunque, non necessariamente su un punto vitale. Ci si pone a distanza dalla morte, pur volendo uccidere.
È segno che c’è tutta l’intenzione ma non c’è il coraggio, è segno che il maschio assassino si sente in posizione nettamente inferiore rispetto alla donna-vittima.
Il maschio che esercita violenza è da sempre un individuo che si sente defraudato del suo ruolo, oggi si sente spodestato. Se prima esercitava atti di violenza per “correggere” un comportamento che disapprovava, oggi si sente privato dello spazio del dominio, uno spazio occupato da un corpo-persona che deve eliminare per liberare lo spazio. Un maschio che è rimasto indietro nella certezza del predominio e che ora non sa più quale è il suo ruolo.
A nulla serviranno le leggi, a nulla gli sportelli di aiuto, a nulla, se non si comprende che non è solo sulla donna che bisogna intervenire.
Occorre costruire l’uomo.