Niente da festeggiare. Visto in un quadro nazionale, le ultime amministrative non incoronano nessuno.
I due Matteo nazionali Renzi e Salvini, nonostante le dichiarazioni post-voto, poco veritiere e alquanto confuse, sanno benissimo che non è arrivato il boom tanto atteso.
Il Partito Democratico crolla ovunque. A Roma, Giachetti non sfonda e si attesta attorno 24%, 4 punti in più della Meloni, e si prepara ad un ballottaggio difficile (se non impossibile); un calo di quasi 25% di voti per il PD nella Capitale rispetto alle Comunali che portarono Ignazio Marino al Campidoglio. E proprio la ”questione Marino” ha pesato, e molto, sul voto e sugli elettori democratici, che ancora non si spiegano la decisione arrivata ”dall’alto” di mandare a casa quello che era un Primo Cittadino, magari non amatissimo, ma di sicuro votato dalla maggioranza dei romani. Altra sentenza emessa dalla urne è che il Pd perde le periferie e si attesta nel Centro Storico, nella zona più ricca della città, mutando (quasi in maniera antropologica) la sua natura e il suo elettorato. A Torino e Bologna la vittoria sembrava scontata, eppure Fassino da una parte e Merola dall’altra sono sì arrivati primi ma hanno perso l’occasione del primo turno; ora la Pendino dei 5 stelle (Torino) e la Borgonzoni (Centro-destra) sono pronti ad alleanze e patti per intercettare il voto delle altre liste e dei delusi. A Milano, dove si gioca la vera partita del ”renzismo”, Sala finisce al ballottaggio con Parisi, e la lotta tra i due ”manager” chiamati a risanare e ripulire il volto della politica non sembra affatto scontata. A Napoli la disfatta democratica assume toni drammatici: un Partito diviso, lacerato, con una candidata sembrata fin dall’inizio troppo debole per un De Magistris, che rimane fuori anche dal ballottaggio; Renzi ha dichiarato che c’è un ”problema Napoli” e che arriverà il commisariamento, come se questo bastasse a riunire il partito, per adesso restano tutti al loro posto, neanche una debacle del genere fa cadere qualche testa.
Per il Matteo nordico invece le cose vanno anche peggio. A Roma ”Noi con Salvini” raccoglie il 2% e porta poco alla Meloni che viagga grazie al suo partito ”Fratelli D’Italia”; bene la Lega a Bologna, come del resto anche alle ultime regionali in Emilia-Romagna dove la formazione verde sembra aver scanzato Forza Italia alla guida del centro-destra. Tonfo invece a Torino dove Alberto Morano non riesce a raggiungere il ballottaggio e si attesta verso l’8%. Dove sono venuti a galla tutti i limiti di un ”Salvini Leader” è Milano. Nella sua città, Salvini candidato capolista ha raccolto 8mila preferenze, davvero poco per chi si candida a guidare il Paese; ma il dato che più ha sopreso è il 20% di Forza Italia nella città meneghina, che lascia alla Lega, ancora una volta, il ruolo di frangia estremista.
Ed arriviamo al Movimento 5 Stelle. Il boom a Roma è clamoroso: la Raggi si attesta intorno al 35% e ipoteca seriamente la vittoria. Potrebbe essere la ”prova del 9” per Di Maio e co. , l’occasione di guidare la Capitale potrebbe essere l’occasione per il M5S di dare prova agli italiani di saper amministrare, anche se i precedenti delle altre città non sono esaltanti. A Roma i 5 Stelle vincono nelle periferie e nei quartieri più difficili, intercettando un voto di protesta contro quei partiti che hanno portato la ‘Capitale sui giornali di tutto il mondo, con lo scandalo di ”Mafia Capitale”. A Torino la Pendino è una vera sorpresa, intorno al 30%, e si prepara ad un ballottaggio non del tutto scontato, dopo che la vittoria di Fassino sembrava cosa già fatta. Ma il rovescio della medaglia esiste ed è palese: il M5S non è riuscito a presentarsi in molte città italiane, di media e piccola grandezza, come Salerno ad esempio; è impensabile che un Movimento che aspira alla guida del Paese non riesca a presentare delle liste ovunque. Il risultati sono arrivati è vero, ma solo a Roma e Torino. A Napoli, Brambilla finisce la corse intorno al 12%, ma esulta comunque per l’entrata in Consiglio Comunale, anche se una minoranza resta una minoranza.
Il centro-destra italiano sembra allo sbando. A Roma si è avuta una prima prova di forza per la guida del movimento azzurro: la Meloni candidata con l’appoggio di Salvini e Forza Italia cheinvece ha virato su Marchini. Il partito di Silvio Berlusconi, esce trionfante dal suo feudo di Milano, dove molti lo davano per spacciato, allontanando anche le pretese di Salvini. A Roma l’appoggio al non-partito-si-partito Marchini, ha fatto naufragare gli azzurri in un misero 4%: prima la scelta di Bertolaso e poi il non appoggio alla Meloni hanno indebolito la proposta dell’ex Premier per la Capitale. Bene il risultato di Napoli dove Gianni Lettieri riesce ad arrivare al ballottaggio, ma risulta evidente che gli anni d’oro di Forza Italia sono finiti ed è necessario riformare l’assetto del centro-destra. Male Osvaldo Napoli a Torino sul 5%, mentre al ballottaggio sì a Bologna ma trascinati da un candidato leghista.
A Sinistra del PD la situazione si complica: Fassina a Roma non raggiunge il 4.5%, Ariaudo a Torino intorno al 3,5%. Dove corre da sola la Sinistra ha troppe difficoltà ad affermarsi, a spiegare l’ennesimo minestrone di intenti (tanti) e di candidati (pochi). Si salvano Napoli, Torino, Milano dove le liste civiche hanno accompagnato candidati di altre ale; bene Bologna anche se al ballottaggio appare necessario, ma non scontato, un appoggio al PD.
Nessuno può esultare, più luci che ombre, anche perchè il primo ”partito” è ancora una volta quello degli astensionisti intorno al 35-40%. Sono ancora troppi gli italiani che scelgono di non andare a votare.
Le partite sono ancora aperte, appuntamento al 19 di giugno.