di Domenico Pizzuti
Dopo la sua elezione a Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca ripetutamente nel corso degli ultimi mesi del 2015 con piglio decisionista se non bellicoso dichiarava di voler procedere nel 2016 allo “svuotamento” dei campi Rom esistenti nella Regione Campania. Gli occupanti se vorranno, potranno restare in qualche immobile, aggiungendo “Mi sento di chiedere allo Stato di usare la mano pesante” (La Repubblica Napoli, 23.9.2015). A parte il linguaggio utilizzato offensivo nei confronti di singoli e delle famiglie che compongono le popolazioni Rom che da decenni vivono in precari e degradanti “campi nomadi” (campland è stata definita questa sistemazione amministrativa adottata in Italia), quasi si trattasse di svuotare da “scarti umani” (secondo la terminologia di papa Francesco) contenitori di immondizie come le balle di rifiuti accumulate nella “terra dei fuochi”, queste dichiarazioni fanno trapelare in ambienti istituzionali una concezione della “questione Rom” come di ordine pubblico e di sicurezza e non diritti umani. Da un anno il “Comitato Campano con i Rom” ha sollecitato a più riprese l’ Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Campania di convocare il Tavolo regionale per programmare, secondo le competenze dell’Ente Regione, una cronologia graduale e progressiva di uscita volontaria dai campi in riferimento alle diverse situazioni locali, proponendo una pluralità di soluzione abitative alternative con relativi incentivi. Finora non c’è stata alcuna risposta.
Nella città di Napoli a dicembre 2014, secondo stime fornite dal Comune di Napoli, e riportate in un dossier DiARC, sono presenti circa 2700 Rom che vivono nei campi ed altre 7/800 persone che vivono in case in fitto o usate o ad altro titolo. In Campania è stimata una presenza di circa 6000 Rom fuori Napoli.
Denunciando come sbagliata la creazione di campi isolati ed emarginanti in Italia, il Commissario ai Diritti Umani del Consiglio d’Europa osservava : <<I campi ghetto portano a gravi violazioni dei diritti umani. Violano sia i parametri internazionali e nazionali sia la politica delle stesse autorità italiane in materia: La strategia nazionale per l’inclusione dei Rom del 2012 non lascia spazio agli accampamenti che emarginano. Si devono dunque trovare valide alternative. Per agevolare l’inclusione sociale dei Rom nella società, si rende necessario un cambiamento di politica. Nuovi sforzi devono essere fatti per andare incontro alle necessità abitative dei rom>> (Nils Muizniers, Cosa serve davvero per integrare i Rom, in La Repubblica, 8 aprile 2015, 31)
Per quanto riguarda la Regione Campania, manca finora come in altre regioni a cominciare dagli anni ’80 una cornice normativa in materia, a parte una proposta di legge “Interventi a sostegno delle minoranze Rom, Sinti e Camminanti”, approvata solo in sede della VI Commissione Consiliare Permanente presieduta dalla Prof.ssa Luisa Bossa nella seduta del 17 aprile 2007, che all’art. 2 per la residenza e l’inserimento abitativo prevedeva una pluralità di interventi (Aree per residenza, recupero abitativo di edifici pubblici e privati, alloggi sociali come previsto dalla legge 6 marzo 1998, sostegno messa a norma e/o manutenzioni straordinarie di strutture abitative autonomamente reperite e realizzate da gruppi Rom, Sinti e Camminanti). In riferimento alle condizioni abitative, lo Schema di Strategia nazionale di inclusione sociale dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti, indica a sua volta un ampio spettro di opzioni che non sempre fanno parte della cassetta degli attrezzi delle amministrazioni locali come quella napoletana (edilizia sociale in abitazioni ordinarie pubbliche, sostegno all’acquisizione di abitazioni ordinarie private, sostegno all’affitto di abitazioni ordinarie private, autocostruzioni accompagnate da progetti di inserimento sociale, affitto di casolari/cascine di proprietà pubbliche in disuso, aree di sosta per gruppi itineranti. regolarizzazione presenza roulotte in aree agricole di proprietà di RSC).
Il Comune di Napoli, nell’assunzione della Strategia nazionale di inclusione sociale dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti, con Delibera della Giunta Comunale n. 174/2013, approvata in data 21 marzo 2013, assume l’ obiettivo di <<Smantellare gradualmente e con una cronologia prestabilita i campi spontanei e non, provvedendo a mettere a disposizione soluzioni abitative alternative o ad attuare percorsi di accompagnamento all’abitazione>>, soluzioni abitative alternative non identificate come pure percorsi di accompagnamento all’abitazione in occasione di emergenza abitative dovute a sgomberi da parte della Magistrature. Non esiste – a nostra conoscenza – finora un documento esplicito di programmazione dell’inclusione sociale abitativa per le popolazione Rom dei c.d. “campi nomadi” abusivi o meglio informali dell’area napoletana da parte del comune partenopeo, ma interventi diversi nel tempo da parte dell’Assessorato al Welfare in riferimento a diverse emergenze, interventi che rivestono un carattere “speciale” per le emergenze abitative di queste etnie. Nello stesso tempo si possono individuare alcuni orientamenti di intervento in riferimento a diverse emergenze abitative che si sono manifestate: in primo luogo la disponibilità o costruzione di Centri di prima accoglienza in genere temporanea quali la costruzione nel 2000 del Villaggio comunale di accoglienza via Circumvallazione esterna a Secondigliano per gruppi di Rom stanziati sotto la metro di Piscinola per circa 92 nuclei familiari in seguito ad un un episodio di violenza nei confronti dei campi abusivi di Scampia per la morte causata da una folle corsa di un Rom che provocò la morte di una ragazza; a metà degli anni 2000 la disponibilità di un edificio scolastico dismesso (ex Scuola Grazia Deledda) a Soccavo per gruppi dell’emigrazione romena attendatisi a Napoli e rifiutati da centri dell’interland napoletano dove erano stati cconvogliati dall’Assessore alle politiche sociali del tempo; dopo la c.d. emergenza Rom del 2008 la lenta definizione ed approvazione comunale nel 2015 di un progetto tecnico di un villaggio di accoglienza per circa 490 abitanti del campo di Cupa Perillo, a cura dell’Assessorato al Welfare, sospeso nel secondo semestre dell’anno 2015 quando stava per bandirsi il concorso per i lavori di costruzione per eccezioni di alcune associazioni alla Commissione Europea che ritenevano il progetto ghettizzante, e per alcune richieste di uffici della Regiome Campania al Progetto tecnico inviato, ma sostanzialmente per inosservanza del cronoprogramma di realizzazione del villaggio previsto dalla Commissione Europea per fine 2015.
Nel contempo non si possono ignorare negli ultimi cinque anni sgomberi di campi in particolari condizioni di precarietà e degrado a cui non è stata data alcuna alternativa abitativa immediata alle famiglie abitanti – al di là del soccorso in strutture pubbliche di persone fragili (malati, donne e bambini) – anche per rifiuto talora di trasferimento in strutture edilizie pubbliche da parte di famiglie sgomberate. Sono i casi dei campi recenti della “Marinella” in via Marina, dell’occupazione di una struttura industriale in via Comandante Umberto Maddalena, del campo insistente sopra mucchi di rifiuti in via del Riposo a Poggioreale abitato da Romeni, dove le famiglie sgomberate si sono dispersi in altri campi dell’area napoletana; in ultimo dello sgombero intimato nel marzo c.a. dall’Autorità giudiziaria per circa 1300 abitanti di due campi informali abitati da circa un decennio da romeni a via Brecce a Sant’Erasmo a Gianturco, per i quali dall’Assessorato al Welfare è stata prevista la disponibilità di un area cittadina attrezzata o da attrezzare per solo 300 soggetti, mentre per gli altri non sono state previste alternative allogiative o accompagnamenti all’abitazione ritenendo forse che come gli altri anni nel periodo estivo le famiglie romene ritornino nei paesi si origine per poi rientrare… Una non soluzione per mettere a posto la coscienza di istituzioni ed associazioni. o una soluzione forzata di uscita dai campi.
Si deve rilevare che sia da parte dell’Assessorato al Welfare sia da parte di alcune associazioni non è stato finora proposto e sollecitato – se non a livello culturale – un ampio spettro di soluzioni abitative, compreso l’accesso all’edilizia pubblica popolare e/o ad abitazioni private come nell’esperienza di alcune regioni per non continuare a riprodurre soluzioni ghettizzanti. Si deve rilevare che sia da parte dell’Assessorato al Welfare sia da parte di alcune associazioni non è stato finora esplicitamente proposto e sollecitato – se non a livello culturale – un ampio spettro di soluzioni abitative, compreso l’accesso all’edilizia pubblica popolare e/o ad abitazioni private come nell’esperienza di alcune regioni italiane per non continuare a riprodurre soluzioni ghettizzanti. Per queste soluzioni, a nostro avviso, si richiedono alcuni requisiti non sempre in possesso degli abitanti dei campi, come il riconoscimento giuridico per assunzioni al lavoro e la disponibilità di risorse economiche per la sopravvivenza e spese di abitazione oltre che relazionali e culturali, che sono da ascrivere anche alla cristallizzazione da decenni della sistemazione in campi che non ha facilitato l’uscita dai campi in attesa di soluzioni abitative da parte degli enti locali. Nel contempo non si può non operare da parte di Istituzioni ed associazioni perché praticamente e mentalmente gli abitanti dei campi siano avviati con incentivi verso l’autonomia abitativa sulla base di una pluralità di soluzioni nell’edilizia pubblica e privata, che rimane la meta da perseguire. Se non si vuole, per diverse convenienze, continuare a riprodurre il modello ghettizzante dei “campi” istituzionalizzati o meno, una gabbia da cui una buona volta uscire per una più ampia inclusione sociale.
E’ stata trascurato finora in questa materia, a nostro avviso, un’altro soggetto, pesantemente incidente non solo nel caso napoletano, la Magistratura con sequestri di aree ed intimazioni di sgomberi a presidio della proprietà di aree occupate abusivamente da nuclei di Rom e per motivazioni igienico-sanitarie nelle aree soggette a sequestro. A parte le responsabilità per il mancato avvio delle popolazioni di queste aree all’accesso a sistemazioni abitative civili da parte dell’Amministrazione locale secondo le strategie di inclusione sociale all’abitazione europee e nazionale, rimangono oscuri e non dichiarati soggetti pubblici e privati che hanno sollecitato l’azione penale a cui deve dar corso la Magistratura. In conclusione i Rom abitanti in queste aree informali sono trattati alla stregua di scarti o rifiuti umani da rimuovere senza prevedere soluzioni allogiative alternative. Rimane un dubbio perchè l’inosservanza da parte di soggetti pubblici e privati di diritti riconosciuti delle popolazioni Rom residenti sul nostro territorio all’accesso all’abitazione non viene sanzionata dalla Magistratura.
Il superamento dopo decenni di sistemazione precaria in campi formali o informali anche a Napoli non è opera della Magistratura, ma finalmente di una presa in carico politica da parte dell’Amministrazione locale con idonea programmazione di uscita volontaria per realizzare progressivamente – almeno per ragioni di civiltà – l’inclusione sociale dei ROM a partire dalla sistemazione abitativa sul territorio.