Si intitola “Crimine e Favelas” ed è il libro del giornalista Luigi Spera. Un lungo viaggio che racconta di traffico di droga, violenza istituzionale e politiche di pubblica sicurezza in una delle città più pericolose del mondo, Rio de Janeiro.
L’autore compie un’attenta analisi del fenomeno favela. Con dati, documenti e interviste, approfondisce in maniera minuziosa il complesso piano di pacificazione di alcune favelas carioca con la Unidade de Policia Pacificadora (UPP). Il progetto, annunciato come rivoluzionario nel 2008 e sviluppato successivamente all’indicazione di Rio come sede dei giochi olimpici del 2016, sarebbe dovuto essere in grado di dare l’immagine del pieno controllo da parte dello Stato del territorio delle favelas. Messa in campo in vista delle Olimpiadi, la pacificazione rischia però di implodere proprio a ridosso dell’appuntamento più importante. La recente crisi della UPP, è raccontata con piglio di cronaca e aggiornata all’ultimo minuto.
Linkabile l’ha incontrato.
Come nasce questo libro e perché?
Il libro nasce a seguito del mio primo viaggio a Rio de Janeiro nel 2010. Entrato in una favela fui colpito molto dalla complessità umana, sociale e culturale del luogo, molto lontana dal racconto stereotipato e preconcettuale che, in positivo e negativo, ne viene fatto. A colpirmi fu poi l’enorme violenza, istituzionale e dei trafficanti di droga che di fatto, pur essendo l’1% della popolazione, tenevano sotto scacco il restante 99%. All’epoca il Brasile era in fase di crescita economica e la città l’anno prima era stata indicata come sede dei giochi olimpici del 2016. All’epoca ero cronista di nera per un quotidiano campano e mi incuriosì molto il piano di pacificazione delle favelas (Upp) messo in campo in quegli anni in vista proprio delle Olimpiadi. Decisi nel 2011 che avrei scritto il libro e all’inizio ho puntato molto sulla pacificazione. Nei successivi viaggi (altri 3) ho dunque portato avanti una ricerca di campo per verificare gli effetti di quel piano, sia dal punto di vista militare e di pubblica sicurezza, sia dal punto di vista dei benefici alla popolazione. Ne ho seguito l’evoluzione, dall’effetto positivo iniziale al fallimento a ridosso dei giochi olimpici. Nel testo c’è dunque una ricostruzione minuziosa con documenti e interviste di tutto quel che riguarda il piano. Con un grande approfondimento, d’inchiesta, sulla speculazione economica, finanziaria, commerciale ed edilizia che ha interessato la favela e colpito pesantemente i residenti storici (lavoratori poveri, sfruttati e onesti), finiti nel tritacarne della gentrification che ha trovato nella Upp uno strumento di speculazione. Solo l’ultima delle tante ingiustizie patite dai ‘favelados’ nella storia. In quel “Crimine” del titolo non c’è il riferimento solo al crimine organizzato (che pure ricostruisco in maniera ‘maniacale’ sia per quel che riguarda il traffico di droga che le milizie), bensì al crimine ‘contro’ la favela e chi la abita, sin dall’inizio della sua storia, luogo di eccezione di diritti, di ghettizzazione, di sfruttamento, di razzismo, di violenza e ingiustizia. Ovviamente proporre un tema tanto complesso in Italia, ha reso necessario uno sforzo ‘didattico’ nel racconto della favela in sé prima ancora che legato alla pacificazione. Nella prima parte del testo viene offerta infatti ai lettori una fedele e puntuale ricostruzione storica, sociale, urbanistica ed economica della favela, dalla sua genesi al giorno d’oggi. Con un’ampia parte dedicata alla radice della violenza della polizia che è uno dei principali problemi in favela e nella città di Rio.
I suoi reportage raccontano conflitti: Afghanistan, Medio Oriente, Bosnia, Kosovo, Brasile. Perché ha scelto di essere un giornalista di “frontiera” ?
In ogni luogo, in ogni società e in fondo dentro ciascuno di noi ci sono conflitti. Talvolta l’odio e la disinformazione, favorita dalla speculazione dalla politica, spinge a una radicalizzazione che trova deflagrazione in una guerra. Le guerre sempre più spesso, non sono quelle tra eserciti regolari viste nella storia. La violenza dilaga in mille forme differenti, per questioni religiose, economiche, etniche, sociali. La guerra è una cosa devastante che pregiudica la serenità e la ricerca della felicità di chi la patisce per sempre, e talvolta coinvolge anche le generazioni successive che non l’hanno vissuta direttamente. Quello che accomuna la guerra è la scomparsa dell’umanità, della tolleranza, dell’amore e del bello. Tutto è brutto. Raccontare l’evoluzione dei conflitti è quello che realmente mi interessa. Con l’idea che raccontare a chi la guerra non la vive, quanto a volte basti poco, una scintilla, per far esplodere un conflitto fratricida e disumano; possa fornire alle persone che non si trovano in conflitto un motivo di maggiore riflessione prima di abbandonarsi all’odio. Ho così la sensazione di stare facendo qualcosa di utile informando. Il fine ultimo del giornalismo.
L’autore
Luigi Spera. Classe 1982, vive a Napoli. Giornalista professionista, lavora come freelance. Dopo un lungo periodo di lavoro come cronista di nera e giudiziaria in Campania avviato nel 2002; dal 2012 si dedica al reportage e il racconto dei conflitti. Realizza i suoi lavori tra Afghanistan, Medio Oriente, Bosnia, Kosovo e Brasile. Sin dal 2010 rivolge grande attenzione alla storia, alla politica e alla società del Brasile. Concentra gli studi in particolare sul fenomeno delle favelas, del crimine organizzato e delle politiche di pubblica sicurezza, soprattutto della città di Rio de Janeiro. Durante uno dei soggiorni a Rio, nel 2014, ha coperto per l’intero periodo gli eventi legati al Mondiale di calcio Fifa Brasil2014, realizzando numerose inchieste e reportage pubblicati per le maggiori riviste e giornali italiani. Da quell’esperienza è nata anche la mostra fotografica che ha toccato varie città italiane “Nossa copa è na rua”. Pubblica o ha pubblicato con Il Fatto Quotidiano, Limes, Il Giornale (Gli occhi della guerra), Il Corriere della Sera, Reset, Huffington Post, Wired e altri.