Penso che la sorte degli otto militari turchi riparati in Grecia debba importare molto alla Grecia e al resto dell’Europa. E’ facile obiettare, di fronte ai numeri enormi della repressione in Turchia, che otto persone sono un episodio minimo. Però, fosse anche uno solo, è l’indipendenza e la coerenza delle nostre democrazie a essere messa alla prova. Gli otto -tre maggiori, tre capitani e due sergenti – hanno dichiarato di temere per la propria vita se venissero rimpatriati, che sia o no reintrodotta in Turchia la pena di morte. La loro preoccupazione è evidentemente fondata. In attesa che le autorità competenti esaminino la loro richiesta di asilo -avranno una nuova intervista il prossimo 27 luglio- un tribunale di Alexandroupolis li ha condannati a due mesi, pena sospesa per tre anni, per ingresso illegale, riconoscendo loro l’attenuante dell’aver agito in situazione di pericolo. Si è sottolineata per lo più la mitezza della sentenza, che però contraddice i principii sull’asilo. Proprio perché la Grecia ha un pesante retaggio storico di contrasti con la Turchia, ai suoi confini e a Cipro, e per giunta è oggi il punto di approdo della migrazione di cui la Germania ha noleggiato il controllo alla Turchia, bisogna chiedere alle istituzioni europee di non lasciare la Grecia sola nella decisione. Dunque di non lasciarla sola nel merito, se non cederà, e tanto meno nella vergogna, se finirà per cedere.
Adriano Sofri