Una delle più fantasiose leggende napoletane farebbe risalire il nome del Castel dell’Ovo all’uovo che Virgilio avrebbe nascosto all’interno di una gabbia nei sotterranei del castello. Il luogo ove era conservato l’uovo, fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto poiché da quell’ovo dipendeva la fortuna di Castel Marino”. Da quel momento il destino del Castello, unitamente a quello dell’intera città di Napoli, è stato legato a quello dell’uovo. Il nome “Castel dell’Ovo” deriva da questa antica leggenda secondo la quale ,il poeta latino Virgilio, che nel Medioevo era considerato anche un mago, nascose nelle segrete dell’edificio un uovo che mantenesse in piedi l’intera fortezza. La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli. La leggenda circolava già dal 300 d.C. : l’ uovo sarebbe stato sistemato in una caraffa di vetro piena d’acqua protetta da una gabbia di ferro: questa fu appesa a una pesante trave di quercia sistemata in una cameretta situata nei sotterranei del castello. Il Castel dell’Ovo è stato costruito su di un isola che si chiamava Megaride ,che ora è invece collegata alla terraferma. I coloni greci che già dal IX secolo avanti Cristo si erano stanziati ad Ischia e Cuma, mentre nel VI secolo avanti Cristo ,crearono un insediamento sull’isoletta di Megaride, dove attualmente è situato il Castel dell’Ovo, che chiamarono Partenope, dal nome della Sirena che, come narra la leggenda, si era suicidata, affranta per non essere riuscita ad ammaliare Ulisse con il suo canto. La colonia poi, intorno al 470 avanti Cristo, si espanse sulla terraferma fin sul Monte Echia (Pizzofalcone) e prese il nome di Neapolis (città nuova) per distinguerla dal precedente insediamento Palepolis (città vecchia). Attualmente l’ ex isola è parte integrante del “Borgo Marinari”, caratterizzato da ristoranti (alcuni famosi in tutto il mondo come “Zi Teresa”, “La Bersagliera”, “Ciro”, “Il Transatlantico”), bar, locali: una parte del territorio piena di vita, fino a notte fonda.
Un altro affascinante mito della storia di Napoli ,è sicuramente quello legato al Maschio Angioino, che riguarda la cosiddetta “fossa del coccodrillo. Si tratta di una storia che tramanda la tradizione verbale, ma per la quale si sono scomodati addirittura Benedetto Croce ed Alexandre Dumas. Croce, in “Storie e leggende napoletane”, racconta che vi era nel Castrum Novum (il Castel Nuovo, appunto il Maschio Angioino), “una fossa sottoposta al livello del mare, oscura, umida, nella quale si solevano cacciare i prigionieri che si volevano più rigidamente castigare”. Il punto è che chi veniva incarcerato lì, scompariva. Un giorno il mistero, poi, fu chiarito: “da un buco celato della fossa ,si vide introdursi un mostro, un coccodrillo, che con le fauci afferrava per le gambe il prigioniero, e se lo trascinava in mare per trangugiarlo”. Secondo alcuni, la “fossa del coccodrillo” nacque sotto il regno di Ferrante d’Aragona (sovrano dal 1458 al 1494), che decise di gettare lì alcuni congiurati. Per Croce fu lo stesso re Ferrante poi a disfarsi dell’animale, gettandogli in pasto una coscia di cavallo per soffocarlo. Altri attribuiscono l’arrivo dell’animale alla regina Giovanna II: secondo la leggenda, per liberarsene, dava i suoi amanti in pasto al rettile attraverso una botola. Un ultimo capitolo della leggenda è stato scritto di recente, nel 2004, quando nel corso degli scavi per la costruzione della stazione Municipio( quindi a pochissimi passi dal castello), è stato ritrovato lo scheletro di un animale. Secondo i più, un cetaceo spiaggiatosi chissà quando. Secondo gli amanti del mistero, invece, qualcos’altro.