Se da un lato gli scienziati di tutto il mondo sono impegnati nel catalogare in maniera sempre più precisa i danni ai feti provocati dalvirus Zika, dall’altro continua la caccia a un vaccino per fermare la corsa dell’infezione. Su entrambi i fronti due diversi team di ricercatori – uno al lavoro in Brasile e l’altro negli Usa – hanno aggiunto nuovi tasselli. La rivista ‘Radiology’ pubblica un report speciale contenente una ‘rassegna fotografica’ dei danni osservati nei bebè e nei feti colpiti dal virus.
L’imaging “è essenziale per identificare la presenza e la gravità dei cambiamenti strutturali indotti dall’infezione, specialmente nel sistema nervoso centrale”, spiega l’autrice principale del lavoroFernanda Tovar-Moll, vice presidente del D’Or Institute for Research and Education e docente della Federal University di Rio de Janeiro. Altrettanto cruciale è lo studio su potenziali vaccini, la pista battuta da un gruppo di ricercatori dei National Institutes of Health, che hanno recentemente clonato un ceppo epidemico del virus, creando un modello che – dicono – può aiutare i biologi a sviluppare e testare strategie per fermare l’infezione. Nell’ultimo numero di ‘mBio’, gli scienziati riferiscono che il virus clonato si è replicato con successo in molteplici linee cellulari, tra cui cellule placentari e cerebrali, tessuti particolarmente vulnerabili ai danni da Zika.Ma i ricercatori hanno notato che ci sono anche una varietà di anomalie cerebrali che si possono trovare nei feti esposti al virus, tra cui perdita di volume nella materia grigia e bianca, anomalie del tronco encefalico, calcificazioni. Ma anche ventricolomegalia: i ventricoli, o spazi riempiti di fluidi nel cervello, sono ingranditi, tanto che alcuni bambini infettati da Zika possono non avere una testa di piccole dimensioni. Tutto questo viene approfondito con la carrellata di immagini raccolte dagli esperti. I ricercatori hanno effettuato una revisione retrospettiva dell’imaging e dei dati autoptici associati con l’infezione congenita da Zika (sulla base del materiale su 17 feti o neonati conservato nell’istituto Ipesq nel Nord-est del Brasile, dove l’infezione è stata grave).
Il clone verrà utilizzato per lo sviluppo di un vaccino vivo, ma attenuato. “Il nostro obiettivo – dice Alexander Pletnev, biologo molecolare del National Institute of Allergy and Infectious Diseases di Bethesda (Maryland), che ha guidato lo studio – è quello di creare un’immunità a lungo termine dopo un breve vaccinazione”. L’idea è di creare un vaccino vivo, ma attenuato, simile a quelli utilizzati nell’uomo contro altri virus dannosi come la poliomielite, la febbre gialla e l’encefalite giapponese.
Con questa missione il team ha recentemente iniziato gli studi del virus clonato sui topi, ma Pletnev (che con il suo gruppo ha lavorato a lungo su altri flavivirus come Zika e prodotto un vaccino contro il virus West Nile attualmente al centro di trial clinici) invita anche altri ricercatori a utilizzare il clone del suo laboratorio per ulteriori lavori utili a fermare la minaccia rappresentata da Zika. Il comportamento biologico del virus è spesso imprevedibile, fa notare l’esperto, il che rende difficile per gli scienziati capire come contrastarlo.
Pletnev e il suo gruppo che include ricercatori dell’University of Texas e della statunitense Food and Drug Administration, hanno iniziato con un ceppo virale raccolto da un paziente febbrile, infettato in Brasile nel 2015. Per ridurre la tossicità e aumentare la stabilità del clone durante la sua crescita in un batterio Escherichia coli, gli scienziati hanno aggiunto al genoma virale particolari sequenze nucleotidiche. Il risultato osservato in successivi esperimenti è stato un clone attenuato rispetto all’originale. I ricercatori hanno poi fatto un paio di modifiche genetiche per far sì che il loro clone crescesse in una linea cellulare derivata da reni di scimmie verdi africane, comunemente usati nella fabbricazione del vaccino umano.
Quanto ai danni provocati dal virus, spiega invece Tovar-Moll, la “microcefalia è solo una delle numerose caratteristiche radiologiche”. Zika, sottolinea la coautrice dello studio ‘fotografico’ sul virus, Deborah Levine (Harvard Medical School di Boston), sembra essere più pericoloso quando viene trasmesso da una madre incinta al feto durante il primo trimestre di gravidanza, aumentando la probabilità di difetti cerebrali gravi nel bambino. Nei casi di microcefalia, la testa del bambino è eccezionalmente piccola, a causa di un cervello poco sviluppato. Zika è stata anche legata a difetti oculari, disturbi dell’udito e crescita ridotta nei bambini.
(fonte andronokos)