Come al solito, la “quotidianità” confonde, distrae, allontana dai problemi profondi di un Paese letteralmente in ginocchio per spostare l’attenzione sui “non problemi”.
Anche nella giornata di ieri è successo, tristemente. Non si è discusso di finanza, di sistema bancario al collasso, di imprese che chiudono e di posti di lavoro che scarseggiano. No. La discussione generale è stata (quasi) del tutto incentrata sulle vignette pubblicate da quegli “irriverenti” di Charlie Edbo in merito ai drammatici fatti di Amatrice. Come da prassi, il popolo del web si è progressivamente “spaccato in due”. L’ha fatto senza ritegno. Molto spesso, anche senza stile.
A fine serata gli schieramenti erano (comunque) netti, definiti e chiaramente contrapposti: da un lato, si sono collocati i convinti sostenitori del “je suis charlie”; dall’altro quelli che “je ne suis pas Carlie”. Personalmente, la cosa mi ha fatto davvero molta tristezza.
Forse sbaglierò ma (io), sul punto, penso che si sia fatto “tanto rumore per niente”. Anche nel pieno rispetto di quella libertà di valutazione che si appartiene a tutti, troppa emotività. Poca riflessività. Troppa enfasi, in certi casi, anche fuori luogo…
Non appena ho visto le vignette, lo confesso, ci sono rimasto malissimo. Poi, però, riflettendo, ho capito. Per quanto mi riguarda, gli autori delle famigerate vignette non hanno ironizzato sulle vittime del terremoto, ma sui vivi.
Hanno “ironizzato” (denunciandolo) sullo sciacallaggio di una classe politico-amministrativa che, in nome del vile guadagno (da conseguire “ad ogni costo”) pare non abbia avuto la ben che minima esitazione nel dare per realizzate (ed a regola d’arte, peraltro) “opere” di pseudo-ammodernamento antisismico mai realmente eseguite ovvero effettuate in “malo modo”.
Questa l’accusa formale lanciata da quelle vignette! Un modo, del tutto peculiare e “fuori dai vari schemi generalmente dati”, per dire, in modo diretto e drammatico (la satira può e deve essere anche dura, durissima) una verità profondamente triste.
Un modo per dare risonanza a quel tarlo che “suona” e “risuona” nella testa di tutti, da giorni: anche in quella di “quelli” che fanno finta di nulla.
Nessun essere umano potrebbe mai seriamente ironizzare su delle vittime innocenti. Ma farlo sulle cause (come hanno fatto i vignettisti in questione) per evidenziare, in modo netto e preciso, le nefandezze di chi doveva agire e non lo ha fatto, “ci sta”!
Nelle vignette, per quanto “forti” esse possano essere, si vedono – chiaramente – corpi inermi, morti, da una parte, e “signorotti”, politici, affaristi (o chi per essi), dall’altra, che, incuranti del dramma, pensano soltanto “a magnà”!
Nella loro drammaticità, “mediata” ed “immediata”, denunciano un “sistema” e sappiamo fin troppo bene come la cronaca del nostro Paese ne abbia raccontato, a iosa, di cose del genere.
Nel rispetto del garantismo, dal punto di vista personale, non riesco (ancora) a puntare il dito contro qualcuno in carenza di quei riscontri probatori che andranno acquisiti – e valutati – “da chi di dovere” e nelle sedi competenti.
Da uomo pratico, però, da uomo di libertà, penso, rifletto, ragiono e sento doveroso rispettare quella libertà di manifestazione del pensiero per la quale, “ieri”, allorquando la mano armata dei terroristi uccise chi “commentava, a modo suo”, i fatti di una parte del mondo, scrissi “je suis Charlie”, non perché veramente lo fossi, quanto per quel profondo rispetto verso quei valori che è fin troppo facile declinare in astratto, e così drammaticamente difficile tradurre in fatti concludenti.
Indignarsi per le vignette? Indignarsi per una critica al “Sistema Italia”? E perché? Per quale ragione? Questa volta, per dirla come sono soliti fare i ragazzini, “ma anche no!”
Non ci indigniamo nei confronti chi si esprime “a modo suo”. Facciamolo nei confronti di chi, incurante dei propri doveri, è stato concausa del devastante effetto della “bruta forza” della natura.
Ma questa è un’altra storia. Ogni cosa, a suo tempo…