Basterebbe riconoscere dove soffia lo Spirito. Non deciderlo.
– Giacomo D’Alessandro* –
Fa ben sperare l’apertura di un cammino verso il diaconato femminile ai livelli più alti della Chiesa Cattolica.
Un esito positivo sarebbe uno dei primi passi concreti – consentiti dalla presenza di papa Bergoglio – per rimontare quei “200 anni di ritardo” della Chiesa prospettati dal Cardinal Martini nel suo testamento spirituale.
Di fronte alla quantità di storture e distorsioni storiche accumulate, cenere su cenere sopra le braci ardenti, può sembrare una irrilevanza. Ma è togliendo alcuni sassolini chiave che si accelera lo sbriciolamento della diga intera, e che al contempo si concede una gradualità che eviti l’inondazione travolgente a scapito dei “piccoli” e di chi certi problemi non è mai stato aiutato a porseli.
Non è un caso che siano proprio le donne protagoniste di certi slanci, mentre di fronte ai cambi di passo e alle parole dure di papa Francesco il clero ingessato e smarrito perlopiù fa orecchie da mercante (magari si attrezza per accogliere qualche rifugiato, ed è un ottimo inizio, ma guai a recepire quanto attiene ad autocritiche e riforme strutturali della Chiesa). Nel mio ultimo soggiorno a Scampia (perché dalle periferie si osserva meglio il resto del mondo e si toccano i propri limiti), ho parlato a lungo con padre Domenico Pizzuti – ancora attivo a 87 anni soprattutto nel dialogo tra rom e istituzioni – lucido osservatore gesuita e sguardo sociologico curioso e attento. Il cruccio dell’esclusione delle donne dai ministeri è spesso tema del nostro confronto, non tanto sul livello teologico quanto osservando le pratiche nelle diocesi e nelle comunità, e le “diaconie di fatto” che esistono ma non sono incoraggiate né riconosciute con pari autonomia e dignità.
Ben venga dunque la messa allo studio della questione, ma se non viene valorizzata la pratica della vita e il riconoscimento di dove lo Spirito soffia, si rischia di restare imprigionati sui libri e sui concetti come quelli che “hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non sentono”. La via del “discernimento” caso per caso, e dell’autonomia della coscienza in cammino, che il papa e il Sinodo hanno indicato per superare la questione “comunione ai divorziati risposati”, di fatto aprendo ma senza rotture, andrebbe via via applicata a tutti gli ambiti, primo fra tutti quello vocazionale, che per decenni e secoli sono rimasti bloccati e impigliati nei pronunciamenti, nelle nomine, nei titoli, nelle burocrazie.
Le vocazioni siano riconosciute in ogni persona, senza discriminazione, dalla comunità stessa, e quindi fatte emergere e proposte a servizio. Questo cambierebbe l’intero panorama del clero (in estinzione), anzi abolirebbe il dualismo clero-popolo, e lascerebbe spazio allo spirito e all’ekklesìa, l’assemblea, variopinta dei suoi diversi carismi.
* Giacomo D’Alessandro cura il blog di padre Domenico Pizzuti. Si occupa di comunicazione, chiesa, intercultura e cammini sociali. http://ilramingo.webs.com