E’ stato il tormentone di quest’estate. E continua a esserlo. Prima si era detto a ottobre, ora si pensa al mese di novembre inoltrato, si andrà a votare per il referendum costituzionale confermativo: si dirà sì o no alla nuova Costituzione approvata dal Parlamento. Non ci sarà bisogno di quorum. Quindi con il sì si accetterà la nuova Costituzione. Con il no ci si terrà quella che c’è già.
Nella storia d’Italia due volte gli italiani sono andati a votare per un referendum costituzionale: nel 2001 quando il 60% approvò la riforma, che aveva rafforzato i poteri delle Regioni, e nel 2006 quando invece fu respinta. L’esigenza di una riforma costituzionale è attesa da oltre trent’anni: in un mondo che va sempre più veloce, la lentezza e la farraginosità del nostro Parlamento sono sotto gli occhi di tutti e questo condiziona inevitabilmente la vita dei cittadini. Qualsiasi provvedimento deve sottostare a tempi lunghissimi, mentre nel frattempo i problemi restano. I governi hanno cercato di superare questi ostacoli ricorrendo ai decreti, che in teoria dovrebbero essere impiegati solo in casi eccezionali. Ma anche se tutti sono concordi sulla necessità di cambiare il Parlamento, finora nessun governo è riuscito nell’intento. Il punto più importante della riforma Renzi è senza dubbio l’abolizione del bicameralismo perfetto, ovvero quel sistema in cui Camera e Senato fanno le stesse cose. Un sistema che oggi è diventato completamente antiquato perché rallenta e appesantisce la formazione di qualsiasi provvedimento, facendo perdere molto tempo.
Con la riforma sarà la sola Camera a scrivere e a votare le leggi. Il nuovo Senato, invece, sarà ridotto da 315 a 100 membri, di cui 74 saranno consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal presidente della Repubblica. Non saranno stipendiati e avranno solo il compito di far da tramite fra il Governo e le Regioni. I cittadini voteranno solo per la Camera, la quale a sua volta voterà la fiducia al Governo. Tutto ciò dovrebbe portare a notevoli risparmi economici, dovrebbe rendere più rapida la stesura delle leggi e semplificare così la vita dei cittadini.
La riforma abolisce definitivamente le Province, da tempo svuotate dei loro poteri e attualmente esistenti solo come organi di coordinamento fra i sindaci. Scompare anche il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, un ente che ormai non ha più nessuna funzione utile, ma che continua a costare almeno sette milioni di euro l’anno. Spariranno inoltre i senatori a vita. Il Presidente della Repubblica potrà nominare cinque senatori, ma resteranno in carica solo per sette anni. Sarà rivista la ripartizione dei poteri fra Stato e Regioni. Cambiano anche gli articoli previsti per il referendum: si potranno votare anche referendum per proporre nuove leggi, mentre attualmente si possono indire referendum solo per abolirle.