Insieme a compagne e compagni che come me vengono da una storia di sinistra ho deciso di aderire al Comitato “Sinistra per il Sì” al Referendum sulla revisione della seconda parte della Costituzione. Tra noi ci sono donne e uomini che hanno collocazioni diverse nell’articolazione interna al PD. Non nasce dunque una nuova “corrente”, di cui peraltro non si avverte il bisogno. Quel che ci unisce è la consapevolezza di quanto decisivo sia il passaggio referendario per la modernizzazione dell’Italia e il suo sviluppo e quanto importante sia il ruolo della sinistra in questo passaggio.
Non corrisponde al vero, infatti, una rappresentazione secondo cui chi viene da una storia di sinistra non può che essere contrario alla riforma e ciò perché quel testo rappresenterebbe una deriva plebiscitaria contraria alla cultura costituzionalista della sinistra e ai suoi valori. Una onesta lettura del testo di riforma dimostra che non è così. Al contrario la riforma contiene innovazioni da sempre proposte e rivendicate dalle forze progressiste e dalla sinistra.
La trasformazione del bicameralismo paritario in bicameralismo differenziato, con un’unica Camera Legislativa e un Senato delle Autonomie Locali, stava già scritto nel programma dei governi di solidarietà nazionale degli anni ’70. E quella proposta è stata reiterata nel tempo dal Pds, poi dai Ds e infine nel programma dell’Ulivo con cui Romano Prodi vinse le elezioni nel ’96. Analoga cosa si deve dire del superamento delle Province come articolazione statale a vantaggio di una loro ricollocazione nell’ordinamento di ogni Regione. E anche la revisione del titolo V che regola i rapporti tra Stato e Regioni è altra riforma attesa da tempo, avendo verificato in quindici anni di regionalismo che le troppe materie su cui oggi sono previsti poteri concorrenti e’ causa di continue sovrapposizioni di competenze e di infiniti contenziosi. La soppressione del CNEL elimina un’istituzione che da tempo ha esaurito la sua funzione. Insomma, affermare che la riforma tradisce e contraddice ciò che la sinistra ha sempre sostenuto non corrisponde al vero.
Così come appare francamente propagandistico leggere nella riforma una deriva plebiscitaria. Poteri e prerogative del Parlamento vengono tutti riconfermati e garantiti. Il Presidente della Repubblica mantiene intatte le sue funzioni di garante istituzionale. Non vi è alcuna estensione di poteri del Presidente del Consiglio. Non solo, ma la riforma prevede tre innovazioni democratiche significative: l’istituzione del referendum propositivo, che consentirà ai cittadini non solo di abrogare leggi, ma di proporne; si riconosce il ruolo costituzionale delle minoranze con la previsione di uno Statuto dell’opposizione parlamentare; e viene conferita alla Corte Costituzionale la delicatissima funzione di attestare preventivamente la legittimità di riforme elettorali sottoposte all’esame del Parlamento. Come tutto questo configuri una torsione “autoritaria” della Costituzione – come viene sostenuto da non pochi sostenitori del no – rimane a me del tutto oscuro.
Mi pare poi che la richiesta di votare no sia fondata su motivazioni deboli. Si chiede un no che avrebbe come esito il mantenimento dell’attuale assetto istituzionale che per unanime riconoscimento necessita di essere riformato. Ed è privo di credibilità affermare che una volta bocciato l’attuale testo si potrà fare un’altra riforma. Quando si chiede all’elettorato di mantenere le cose come sono, non si può poi proporgli subito dopo di cambiarle. Peraltro, a fronte di un dibattito che si protrae da più di 30 anni, un ulteriore rinvio produrrebbe soltanto altro logoramento e perdita di credibilità di partiti e istituzioni nell’opinione pubblica. Così mi pare ancor più debole invocare un no per sconfiggere Renzi, in un uso strumentale del voto che non è rispettoso prima di tutto degli elettori.
Viene, infine, spesso richiamata la nuova legge elettorale come ragione per respingere la riforma costituzionale. A parte il fatto che si tratta di provvedimenti del tutto distinti e che la nuova legge elettorale approvata dal Parlamento non incide su nessuna delle innovazioni costituzionali proposte, è del tutto legittimo sollecitare una riflessione sulla legge elettorale. Personalmente penso che l’introduzione del ballottaggio in un sistema che da bipolare è divenuto tripolare può comportare effetti distorsivi che alterano la volontà popolare e l’effettiva rappresentatività degli esiti elettorali. Così come è legittimo riflettere se il premio di maggioranza debba essere assegnato alla sola lista vincente (come la nuova legge prevede) o a liste coalizzate. Se ne discuta, purché non si abbia un intento dilatorio e non si persegua il solo obiettivo di affossare la legge elettorale approvata dal Parlamento. E in ogni caso una riflessione su questi temi non può divenire ragione o alibi per invocare un no ad una riforma essenziale per cambiare l’Italia. Per questo voterò Sì e mi batterò perché la riforma venga approvata dai cittadini.
Piero Fassino