Comunicazione, informazione, formazione
La rete influenza profondamente le nostre attività di comunicazione, che, ricordiamolo, è un processo non unidirezionale ma circolare ed interattivo tra emittente e destinatario. Oggi l’informazione è sovrabbondante; ognuno di noi è collegato in permanenza con vaste reti e comunica con un gran numero di persone. Ma al tempo stesso avvertiamo un crescente senso di isolamento, solitudine, abbandono. Il trionfo della comunicazione e la sua sconfitta sembrano avanzare di pari passo. Come scrive Tzvetan Todorov: “il termine di comunicazione si riferisce a due funzioni ben distinte: la prima consiste nel trasmettere una informazione, la seconda nel partecipare alla formazione della persona.. Quando parlo con qualcuno, posso comunicargli una serie di dati sull’oggetto del nostro colloquio, ma al tempo stesso mi metto in rapporto col mio interlocutore, anticipo la sua reazione e mi adatto a lui; e così facendo mi trasformo, pur cercando al tempo stesso di influenzarlo a mia volta. Nulla potrà mai sostituire la prossimità di un volto, le sensazioni uditive, olfattive, tattili che sentiamo nel corso di un incontro fisico. Senza di esse viviamo nell’illusione di uno scambio, ma il nostro slancio è devitalizzato. Finiamo per dimenticare che siamo fatti dagli altri, e che la chiave della nostra fragile felicità è nelle nostre mani”.
La coperta di Linus
Linus, nella serie di fumetti intitolati “Peanuts”, è un bambino complessato e psicologicamente fragile, che si succhia il pollice e va in pezzi senza la sua coperta di flanella che gli dà protezione e sicurezza. Dal personaggio è stato tratto il nome della Sindrome di Linus, che consiste nella timidezza patologica che porta alla fobia sociale, alla voglia di chiudersi in casa evitando qualsiasi relazione sociale, e in vari casi può manifestarsi anche con disturbi
La coperta di Linus diventa un’ancora di conforto necessaria per eclissarsi e sentirsi normali rispetto a malanni di tipo psicosomatico, come ansia e mal di testa.
E senso del nulla, del vuoto, tensione, sentimento di aver perso qualcosa di importante, irritabilità, insicurezza, ossessione di sentire continuamente il suono del messenger nelle orecchie, condizione di solitudine o di costante distrazione è quanto hanno provato e scritto nel loro diario i mille studenti che hanno partecipato nel 2011 all’esperimento dell’Università del Maryland che ha testato le loro reazioni nel passare 24 ore senza usare cellulari, televisione, computer. La sindrome del vuoto digitale: senza connessione non sappiamo più vivere, proprio come Linus senza la sua coperta..
La danza dei ventagli
Nella “danza dei ventagli “ (l’immagine è del sociologo Erving Goffman) di Facebook rileviamo parte di noi stessi facendo solo intravedere la nuda verità e seducendo il nostro pubblico con un occultamento parziale. Come i grandi ventagli o le piume che, nascondendo in parte il corpo della ballerina, fanno balenare la promessa di una esposizione completa, che non sarebbe però attraente quanto quella parziale. E così da una parte esibiamo noi stessi nel modo più completo: entriamo, discutiamo, fotografiamo e postiamo tutto della nostra vita quotidiana, dai momenti significativi alle banali immagini di un pranzo. D’altro lato, ciò che di noi stessi pubblichiamo non è del tutto vero: il nostro profilo è più o meno artefatto, troppo perfetto, e forse è poco più di una idealizzazione che usiamo come pallido sostitutivo di un vero rapporto umano, le foto dei nostri profili sono sempre un po’ migliori della realtà, i tweet o commenti più spiritosi di quanto noi siamo, le feste sembrano più divertenti, i viaggi troppo esotici, gli animali domestici troppo adorabili, i cibi troppo appetitosi. Le vite documentate in questo modo sembrano spesso assai lontane dalla verità.
Lo schermo rivela dunque solo una piccola parte della nostra storia. Quello che pubblichiamo online non è la verità assoluta; postando determinati contenuti (che è già una scelta), rileviamo qualcosa e nascondiamo il resto. In realtà recitiamo sempre, come attori sul palcoscenico, la parte che la società ci assegna. Il nostro profilo Facebook non è una semplice messa in scena, dato che quel che accade online è molto simile a quel che accade anche offline. Offriamo di noi una miscela di vero e di falso, in una seducente interazione tra rilevare e nascondere.