di Maurizio Martina(Ministro)
Il caporalato va combattuto come la mafia e da oggi abbiamo uno strumento in più. Finalmente con l’approvazione della legge alla Camera facciamo un passo importantissimo in una battaglia che non è solo di civiltà, ma soprattutto di giustizia. Lo dobbiamo a Paola Clemente, a Mohammed Abdullah, a George Barbieru. Lo dobbiamo a tutti i lavoratori e lavoratrici che, come loro, sono stati vittime di questa piaga inaccettabile. Ma lo dobbiamo anche alle tantissime aziende oneste che combattono ogni giorno contro la concorrenza sleale di chi cerca il profitto attraverso uno sfruttamento disumano. Perché in questa sfida l’agricoltura non subisce, ma guida il cambiamento necessario.
Dopo anni di attesa abbiamo strumenti nuovi. La nuova legge rafforza gli strumenti di contrasto civili e penali, con la confisca proprio come per i reati di mafia, per colpire i patrimoni e destinare al fondo antitratta i proventi, che verranno utilizzati per la prima volta anche per indennizzare le vittime. Si introduce la responsabilità del datore di lavoro e il controllo giudiziario sull’azienda che consentirà di non interrompere l’attività agricola dove si commette il reato. Con la stessa legge si rende più forte anche la Rete del lavoro agricolo di qualità, ramificandola sul territorio e sperimentando nuovi metodi di intermediazione legale. È previsto anche un piano di accoglienza dei lavoratori stagionali che, con il coinvolgimento di Regioni, enti locali e terzo settore, dovrà servire ad evitare la ghettizzazione degli immigrati impiegati nella raccolta.
Una legge da sola non basta. Serve un impegno costante e unitario di tutti. Negli ultimi mesi, in attesa dell’approvazione, abbiamo continuato a lavorare per il contrasto del fenomeno. I controlli sono aumentati del 59% in un anno, grazie anche alle task force di ispettori del Lavoro insieme a Carabinieri e Corpo forestale nei territori a rischio. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma da parte nostra la determinazione è massima per dare tutela ai più deboli. Per garantire diritti a chi troppe volte è stato sfruttato. Per non avere mai più schiavi nei campi.