Due dolcissime parole che evocano immagini di paradiso terrestre, dove la creazione dell’uomo, maschio e femmina a immagine di Dio, è anche riflesso del Suo amore divino.
Un amore veramente grande, quello con la A maiuscola e una spiritualità e una comunione tale con il Signore che al giorno d’oggi si fa non poca fatica a percepire e a comprendere.
Credo che alla base dell’Amoris laetitia ci sia proprio il tentativo di spiegare ciò, per tale motivo più che “esortazione” mi piace definirla “provocazione”, perché vuole dirci che alla fine l’amore, con questi presupposti, può essere eterno, per sempre e non solo finchè dura.
Ad una prima lettura quello che si coglie, dunque, è che la vita della coppia e della famiglia sono descritte secondo un ideale di amore, di condivisione e di reciprocità che, però, nella realtà quotidiana non è sempre facile da realizzare, anche per quelle coppie che sono credenti e praticanti e magari fanno anche un cammino di fede insieme. Ogni coppia sposata, da poco o da molto, lo sa che è un’impresa non da poco tendere a quella perfezione familiare di cui un modello è la famiglia di Nazareth. Però proprio questa famiglia, nella sua non convenzionalità così moderna ed attuale, può rappresentare la fonte d’ispirazione per le coppie di oggi, soprattutto per quelle coppie definite fragili, perchè in essa possono trovare conforto e nuovi spunti di rinascita quando tutto sembra perduto. Chi si avvicina al matrimonio religioso dovrebbe sceglierlo non per consuetudine ma perché così facendo sceglie di fare propri gli insegnamenti del Vangelo anche in questo nuovo percorso di vita, ma è veramente così?
Mi viene in mente un brano dell’inno all’amore di San Paolo, dalla prima lettera ai Corinzi:
L’amore è paziente,
è benigno l’amore;
non è invidioso l’amore,
non si vanta,
non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Letto cosi sembra quasi il decalogo per la coppia perfetta, che bellezza!
Un capitolo fondamentale del libro, in tal senso, secondo me, è quello sulla spiritualità.
Al par. 315 si legge “ La spiritualità dell’amore familiare è fatta di migliaia di gesti reali e concreti”.
Purtroppo non tutti i giorni riusciamo ad esprimere questi gesti, espressione della carità e dell’amore sponsale, sopraffatti spesso dalle difficoltà, da esigenze più o meno reali e da un pizzico di egoismo. Dovremmo, vorremmo, ma non sempre accade.
La preghiera, come viene suggerito, è sicuramente un mezzo valido per sperimentare la presenza del Signore nella vita della famiglia e della coppia, almeno in quelle famiglie dove il cammino di fede è condiviso, altrimenti è fondamentale il rispetto reciproco per queste scelte di vita… e tanto tanto amore!
Ma le coppie perfette, di qualunque tipo, tutto sommato non esistono, e infatti un punto nevralgico è il tanto discusso capitolo 8, che descrive la situazione delle cosiddette famiglie fragili o imperfette. Io preferisco definire queste famiglie piuttosto “non conformi”, in particolare per evitare di esprimere un giudizio su persone e fatti che a noi non compete. E’ sicuramente un capitolo che va letto con molta attenzione, altrimenti si rischia alla fine di avere molte più domande che risposte. Tema fondamentale è il discernimento , che a mio parere dà senz’altro un ampia apertura per una possibile integrazione dei “non conformi” ; ma un ragionevole dubbio viene, anzi più di uno: “chi già segue o si avvicina ad un cammino spirituale sulle vie mostrate dal Vangelo può essere già di per sé automaticamente integrato? Chi invece non ha interesse per questa integrazione o magari vive nel dubbio se avvicinarsi o meno alla fede o, ancora, dubita della reale accoglienza nella comunità , trova poi pastori che posseggano tutti i mezzi e soprattutto una capacità di apertura per avviare verso il giusto discernimento?”
E noi, pii uomini e donne convenzionali, avremo sufficiente misericordia per questi fratelli, o siamo capaci solo di condannare?
Il capitolo è coerente, così come possiamo aspettarci che lo sia, con la dottrina religiosa, ma allo stesso tempo innovativo perché non parte dalla norma né la cambia, ma parte dall’osservazione che la realtà sociale è cambiata, e ne tiene conto. Si sente molto forte quello che caratterizza il pontificato di papa Francesco, la misericordia. Chi si aspettava la regoletta secca, comunione sì, comunione no, qui non l’ha trovata, anche perché in definitiva un cammino di fede va considerato anche alla luce di altri aspetti.
La questione è spinosa, per separati, divorziati, risposati, per non parlare delle coppie omosessuali. Leggevo a questo proposito un articolo qualche giorno fa, in cui due signori, ormai avanti con l’età e conviventi da oltre 50 anni, credenti e praticanti, hanno scritto una lettera a papa Francesco per raccontare della loro storia. Questo forse è uno di quei casi di coscienza e di discernimento che si può comprendere pienamente solo attraverso la misericordia di Dio.
Poi c’è la questione delle coppie di fatto, che comprende alcuni dei casi sopra citati o è semplicemente la scelta di due persone che in piena libertà hanno deciso di vivere insieme.
Oggi una certa libertà di pensiero e lo svincolarsi da forme di condizionamento tradizional-religioso, senza considerare le motivazioni socio-economiche, ha portato ad un aumento delle unioni di fatto, che spesso sono famiglie, ormai socialmente accettate senza che nessuno si scandalizzi più di tanto.
Sul tema del matrimonio si raccontano tante barzellette che ci fanno più o meno sorridere, ma riflettendo proprio su questa esortazione penso che è giunto il momento di rivalutare questo sacramento, come suggerito dal “Sinodo delle famiglie”, a partire dall’accompagnamento delle coppie di fidanzati, proseguendo con i giovani sposi, le famiglie meno giovani e quelle anziane. In fondo se noi abbiamo creduto in esso ci sarà un perché, un perché che va riscoperto e condiviso, prendendo come spunto proprio la provocazione dell’amoris laetitia.
Nel nostro piccolo dovremmo e potremmo sviluppare una maggiore capacità di accoglienza e di testimonianza della Parola, rendendo reale la presenza di Dio in mezzo a noi e nel cuore della nostra famiglia, per poter essere in grado di guidare e aiutare i nostri figli, i giovani che capitano sul nostro cammino o anche uomini e donne che hanno vissuto le vicende dolorose della fine del loro progetto a due.
La mia sensazione personale è che sia necessario che cambi qualcosa dentro di noi, nel nostro profondo essere donne, uomini,
coppia, famiglia, perché possa cambiare quella visione sociale che attacca la “famiglia” come istituzione sociale a vantaggio dell’io e di una presunta libertà che tende ad isolare l’uomo sempre più in se stesso.