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COMPLEANNO DEL TEATRO SAN CARLO:PALAZZO DI UN IMPERATORE ORIENTALE!

Napoli, 4 novembre 1737: omaggio al Teatro di San Carlo

“La prima impressione è di essere piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita…”, così Stendhal – nel suo libro Roma, Napoli e Firenze del 1817 – descriveva il teatro d’Opera più antico del mondo: il San Carlo di Napoli.
Parole che, solo in minima parte, riescono a spiegare lo spettacolo che attende chi supera il tendaggio di velluto rosso posto all’ingresso della platea. Un rapimento quasi mistico che, oltre a togliere il fiato, arresta anche il tempo. La cognizione spazio-temporale, entrando in questo luogo, si perde. Rimane tutto al di là del drappo di velluto purpureo che si chiude dietro alle nostre spalle. Un tempo sospeso, perché come sembra sottolineare l’orologio (che originariamente aveva un meccanismo ad acqua) posto nel sottarco del proscenio – ad opera di Camillo Guerra e Gennaro Maldarelli – dal titolo “Il Tempo indica lo scorrere delle ore, la Sirena delle Arti tenta di trattenerle”: l’arte non ha tempo.
Lo sguardo attonito non sa dove posarsi, perso nello sfavillio dei decori. I pensieri cominciano, in un crescendo, a danzare al suono della musica che da secoli vive e palpita in ogni minimo particolare del San Carlo. Teatro che, a pieno titolo, nel 1995 è stato inserito – insieme all’intero Centro storico di Napoli – dall’Unesco tra i monumenti considerati Patrimonio dell’Umanità.
«Considerando che il sito è di eccezionale valore. Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa» (Motivazione Unesco).
Perché, come prosegue sempre Stendhal: “Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea”. Un tripudio d’oro e porpora che, dopo l’unità d’Italia, andò a sostituire le preesistenti decorazioni in argento brunito con riporti in oro e gli addobbi in velluto azzurro (bleu de ciel foncè che era il colore ufficiale della Casa Borbonica del Regno delle Due Sicilie). Oltre a tali modifiche, per l’occasione, fu sostituito anche lo stemma borbonico – tre gigli d’argento in campo azzurro, circondato dai 21 simboli araldici delle Case imparentate con quella di Napoli – del sottarco a cui fu sovrapposto quello sabaudo. Cosa che, tuttavia, non ha intaccato minimamente – pur facendo perdere un tocco di originalità – la magnificenza dell’opera fortemente voluta dal Re Carlo III di Borbone.
Costruito nel 1737, con l’intento di edificare un teatro degno di questo nome – che andasse a sostituire quello di San Bartolomeo – fu chiesto alle Fabbriche Reali di realizzare il nuovo teatro in una posizione più centrale. Così, dopo la firma del contratto – il 4 marzo 1737 – da parte dell’architetto Giovanni Antonio Medrano e dell’appaltatore Angelo Carasale – con una spesa stimata di 75.000 ducati (circa 1,5 milioni di euro di oggi) – il teatro venne inaugurato il 4 novembre dello stesso anno. L’opera scelta per l’occasione fu “Achille in Sciro” del Metastasio, con musica di Domenico Sarro, che diresse anche l’orchestra.
Un ‘700 culturalmente illuminato quello che si respira e si vive a Napoli e, nello specifico, al San Carlo. Al punto tale che Napoli diventa la capitale della musica europea. Un punto di riferimento e massima aspirazione per i musicisti e compositori, italiani ed europei, dell’epoca.
Anni di splendore che proseguirono, senza interruzione, fino alla notte del 12 febbraio 1816, quando lo scatenarsi di un incendio distrusse interamente il San Carlo. Il quale, dopo soltanto nove mesi, risorse dalle proprie ceneri e fu restituito ai napoletani e al mondo in tutta la sua grande bellezza. I lavori di ricostruzione furono affidati ad Antonio Niccolini, al quale fu chiesto di attenersi al progetto originale. Così, sia la sala a ferro di cavallo (lunga m. 28,60 e larga 22,50), che i 184 palchi disposti in cinque ordini, più un palco reale e un loggione, rimasero fedeli alla costruzione precedente. Tutto ciò, però, non impedì di apportare dei miglioramenti all’acustica, all’ampliamento del palcoscenico (m. 33,10 x 34,40), oltre che all’introduzione di alcune decorazioni – ad opera sempre di Camillo Guerra e Gennaro Maldarelli – quali il bassorilievo e il già citato orologio nel sottarco del proscenio.
In merito all’acustica – reputata sin dall’origine quasi perfetta (grazie al fatto che non si altera in base al posizionamento degli spettatori in platea, nei palchi e nel loggione) – fu ulteriormente migliorata attraverso il sollevamento del soffitto del teatro e al posizionamento sottoelevato della tela dei Cammarano (Antonio, Giovanni e Giuseppe) rispetto al soffitto stesso. Un velario di 500 metri quadrati, raffigurante Apollo che indica a Minerva (rappresentata nel Sole) le Arti e i più grandi poeti al mondo. Tra le figure dipinte, spiccano quella di Dante (in verde), preceduto da Beatrice, Virgilio ed Omero.
Attraverso questo artificio, in sostanza, si diede vita ad una sorta di camera acustica (tipo un enorme tamburo sopra la platea). Risultato raggiunto anche attraverso la realizzazione delle balaustre, non lisce, e di altre soluzioni decorative interne, oltre che alla scelta dei materiali e alle tecniche di realizzazione degli stessi.
E così, con il passaggio di direttori artistici del calibro di Gioacchino Rossini, Gaetano Donizetti, Giuseppe Verdi e compositori quali Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Giordano e Cilea (giusto per citarne qualcuno) – dal 1737 –, nel teatro di San Carlo in Napoli: “Dove le parole finiscono, inizia la musica” (H. Heine).

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