Mi piace 1
Scriviamo un messaggio, mettiamo una foto, un video, invitiamo a scrivere “ Mi piace “ e facciamo il conteggio per calcolare il nostro gradimento, misurare il consenso dei nostri amici e confrontarlo con quello degli altri, fino a trasformarlo in una piccola ossessione. E se ci mettessimo a dieta, azzerassimo il contanumero e ripartissimo da zero?
Mi piace 2
Ma se proponiamo di esprimere un giudizio su un evento cui abbiamo partecipato o su un link che abbiamo postato, che significa “Mi piace”? Riduciamo tutto ad una impressione superficiale, un sentimento contingente, un gusto personale? Ma oltre il corpo non abbiamo anche una testa? Oltre al ventre non anche un cervello?
Mi piace 3
Qualsiasi cosa dobbiamo comunicare, un lieto evento o la perdita di una persona cara, siamo costretti ad una brutale concisione. E se siamo innamorati non perdiamo tempo a scrivere ti voglio bene, mandiamo la sigla tvb. E se vogliamo far partecipi gli amici di un dolore o di una gioia, basta che inviamo loro un faccino triste o sorridente. L’omologazione assoluta. I sentimenti ridotti ad una marmellata insapore spalmata in rete. Ma che gusto ha?
Mi piace 4
Post o video di un piccolo immigrato, naufragato sulla spiaggia; il corpo sbudellato di un soldato in un teatro di guerra; i corpi smembrati di uomini donne bambini colpiti da un attacco terroristico; un villaggio completamente distrutto da un terremoto o una inondazione; prigionieri decapitati o uccisi con un colpo di pistola in diretta; immagini di egoismo, crudeltà, spietatezza, violenza dell’uomo verso i suoi simili. Come si fa a cliccare “Mi piace”?
Narcisismo di massa
Il termine “narcisismo” deve la sua origine al mito di Narciso, cacciatore di grande bellezza, la cui storia è raccontata, tra gli altri, anche da Ovidio nelle “Metamorfosi”. Nella versione del poeta latino, il giovane, superbo e vanitoso, è figlio del fiume Cefiso e della ninfa Linope. Al momento della sua nascita, l’indovino Tiresia predice alla madre che il figlio avrà lunga vita se non conoscerà mai se stesso. Avendo sdegnato l’amore della ninfa Eco, Narciso provoca le ire di Nemesi, la dea della vendetta, che lo fa innamorare della sua immagine riflessa in acqua. Il giovane morirà tentando di raggiungerla: dal suo sangue spunterà il fiore che porta il suo nome.
La parola “narcisismo”, usata per la prima volta nel 1898 dal sessuologo inglese Havelock Ellis e scelto da Sigmund Freud come tema del saggio Introduzione al narcisismo, 1914, in psicologia indica sia il normale amore per se stessi sia un reale disturbo, quello di chi tende a esagerare le proprie capacità e ha un eccessivo bisogno di affermazione e attenzione.
Nel 2007, Jean Twenge, psicologa dell’Università di San Diego, aveva battezzato come Generation Me (ovvero Generazione Io, titolo di un suo famoso saggio) la deriva narcisistica, segnalandola come uno dei tratti più rilevanti dei giovani americani. E vari studi sociologici assumono il narcisismo come una sorta di metafora della contemporaneità, che trionfa ovunque, in tv, sui giornali, nel web, nella vita quotidiana. E il fenomeno non interessa solo le celebrità che, secondo il principio che per un personaggio famoso niente è banale, trasmettono le più banali informazioni e riempiono i social network con le fotografie dei momenti di routine della loro giornata,: dalla sequenza del primo bagnetto della neonata di Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook, alla partecipazione ad una festa dell’ereditiera americana Paris Hilton o ad una passeggiata del calciatore Cristiano Ronaldo. Il loro è diventato un modello “virale” da imitare per qualsiasi adolescente.
Leggiamo l’interpretazione che del fenomeno dà il poeta psicanalista Cesare Viviani sia sotto l’aspetto sociale che educativo: “Il narcisismo è il ripiegamento in sé dell’energia vitale, sottratta all’investimento, negli altri: cioè alla possibilità di arricchirsi attraverso lo scambio di esperienze e al tempo stesso alla possibilità di arricchirsi attraverso lo scambio di esperienze e al tempo stesso di perdere un po’ delle proprie certezze e della propria fisionomia mettendosi in gioco.(…)La civiltà tecnologica invita a risparmiarsi sul piano affettivo e ad evitare le occasioni di confronto con gli altri, proprio mentre ti sollecita a consumare il massimo di tutto: si tende a sostituire le relazioni umane con l’investimento sugli oggetti, che rimangono dove li lasci, senza mettere in gioco la tua personalità.(…)La tendenza dei genitori ad appagare ogni desiderio dei figli, per evitare anche il minimo conflitto, ha conseguenze nella crescita psichica. Sottrarre i propri figli alla prova dell’impegno, della responsabilità e anche della frustrazione… contribuisce a creare generazioni auto gratificate e autoriferite per le quali l’altro è solo una presenza disturbante”.
Pasquale Gerardo Santella