di Gianluca Luzi – Repubblica
Un’ora di colloquio al Quirinale apre la crisi di governo dopo le dimissioni di Renzi. Il capo dello Stato ha voluto fissare due punti fermi. Il primo per rassicurare chi teme un periodo di caos ingovernabile, il secondo per rassicurare i mercati e molto probabilmente per togliere dal tavolo l’ipotesi cara a Grillo delle elezioni anticipate, almeno per ora. La democrazia è solida, è il primo ammonimento. Le scadenze saranno rispettate è il secondo. E le scadenze sono queste: entro il 31 dicembre dovrà essere approvata la legge di stabilità. E la seconda: è necessario rifare la legge elettorale. Gli scenari dell’immediato futuro saranno più chiari quando Mattarella affiderà l’incarico. In attesa di una chiamata dal Colle è soprattutto l’attuale ministro degli Esteri Padoan. Molto stimato in Europa – dove la preoccupazione per le ripercussioni della valanga dei No è altissima – Padoan è il nome adatto per rassicurare i mercati (che per ora non hanno reagito in modo drammatico) e per mettere mano a un piano di salvataggio delle banche, Montepaschi in testa. C’è bisogno del coordinamento e della benevolenza della Ue per superare questa tempesta e Padoan (più del presidente del Senato Grasso) sembra il nome più adatto. Ma la comprensione dell’Europa per la situazione italiana non si spingerà oltre e la Ue chiederà una correzione dei conti italiani con una manovra aggiuntiva di 5 miliardi che renderà più complicata l’approvazione della legge di bilancio. Sul piano sociale e su quello politico il referendum consegna due segnali inequivocabili. L’Italia è un Paese in fortissimo disagio che Renzi aveva evidentemente sottovalutato e che esprime la sua rabbia abbattendo chiunque sieda al posto di comando. Il secondo segnale – che costituisce anche un paradosso della politica – è che se è vero, come è vero, che è stato un referendum di tutti contro uno, cioè Renzi, lo sconfitto da solo ha ottenuto il 40 per cento dei voti. Da oggi bisognerà vedere come Renzi intenderà usarli.