A ventiquattrore dalla Direzione del Pd, la temperatura dello scontro interno al partito è già oltre i livelli di guardia. La bruciante sconfitta del referendum ha lasciato il segno e la spaccatura che si era creata in campagna elettorale rischia ora di deflagrare nell’ambito della gestione della crisi di governo. Ad ‘aprire le danze’ era stato l’ex segretario Pier Luigi Bersani, uno dei paladini del No, con un post su Facebook pubblicato nella giornata di lunedì. “Avevamo visto per tempo che nel paese si muoveva un’onda di disaffezione e di distacco. Non abbiamo accettato di consegnare tutto questo alla destra. Adesso ci impegniamo per la stabilità e per una netta e visibile correzione delle politiche”.
Una critica a tutto tondo alla gestione Renzi, che mette in discussione non solo la sua leadership ma l’intero impianto politico del governo e della segreteria. Dietro queste parole, però, almeno a giudicare da quanto afferma uno degli uomini più vicini a Bersani, Roberto Speranza, non c’è una richiesta di dimissioni da parte di Renzi, almeno dalla guida del partito. “Non ho mai detto a Renzi di dimettersi da presidente del Consiglio, figuriamoci se gli chiedo di dimettersi da segretario del Pd. Ora bisogna sostenere il lavoro che farà il presidente della Repubblica e i gruppi parlamentari del Pd”.
Sono ore in cui gli scenari e gli umori mutano costantemente. Ma fermando l’orologio alla giornata di oggi, si può dire che Matteo Renzi si trova tra due fuochi: il suo fortissimo desiderio di andare al voto anticipato e le pressioni del Quirinale e di buona parte del Pd a sostenere un governo di transizione. La mediazione che il partito sta raggiungendo è più o meno di questo tipo, e sarà esposta alla Direzione di oggi pomeriggio: il Pd è favorevole a un “governo di tutti”, cui partecipino anche le opposizioni che hanno determinato la vittoria del No al referendum. Un’ipotesi ardita ma “l’unica possibile”. Altrimenti non c’è alternativa al voto anticipato entro marzo-aprile. In realtà la seconda è l’opzione principale del premier uscente, al punto che in queste ore i suoi colonnelli al Senato gli hanno consegnato il dato che gli serviva: almeno 40 senatori sono fedeli alla sua linea e sono pronti a bloccare il nuovo governo sia sul nascere sia in itinere.l Pd, parlando di “governo istituzionale” e “di tutti”, sembra tracciare il profilo di una carica istituzionale. L’indiziato è il presidente del Senato Pietro Grasso. Toccherebbe a lui provare a raccogliere intorno a sé non solo il Pd, ma anche pezzi consistenti di opposizione. Quantomeno uno tra Forza Italia o M5S. Se non riuscisse in questa impresa, Renzi invocherebbe le urne.