La guerra fredda ( per fortuna ? ) e’ lontana, le grandi forze che , anche da noi, ne incarnarono i campi non sono piu’ le stesse, l’economia si e’ integrata a livello globale e si e’ finanziarizzata, il lavoro e la produzione oscillano tra precarieta’, immaterialita’, e nuovo schiavismo. E dato che si tratta di cose che segnano l’intero pianeta e’ a quel livello che la frattura sociale rischia di deflagrare destabilizzando ( almeno dove lo si era guadagnato) il sistema della democrazia. Prenderne atto sarebbe cosa saggia per tutti.
In Europa non si e’ voluto vedere questo gigantesco problema e si tarda a prendere atto che, ancor piu’ in questo inedito quadro, la disuguaglianza sociale così acuta non puo’ reggere piu’. Col rischio di spazzare via quella costruzione europea non solo nobile e antico sogno di illuminate figure, ma ciclo di convivenza civile e prosperita’ in un’area del mondo che piu’ o meno ottanta anni fa ( non nel paleolitico) e’ stata teatro di guerra globale di affermazione di movimenti politici totalitari, di stermini ed eccidi religiosi e razziali.
C’e’ un aspetto essenziale che mi pare taciuto. Le disuguaglianze finora non sono state ridotte dalla crescita. La crescita, che pero’ oggi latita, creando piu’ ricchezza puo’ certo alleviare qualcosa, ma senza un cambio di modello economico e redistributivo resta fattore riproduttivo della diseguaglianza. Gli sforzi per la crescita, che puo’ servire a produrre ricchezza da destinare a investimenti, sono rimasti per anni illusoria scorciatoia senza un cambiamento di fondo .
Capisco l’enormita’ ,di questi tempi, dell’affermazione ma mi pare ormai inutile girarci attorno o trastullarsi con la lotta ai populismi, giusta ma che senza questo riequilubrio strutturale continueranno a crescere. E a mordersi la coda, se e’ vero che anche i punti essenziali del programma di Trump non fuoriescono dal solco di politiche economiche di crescita che possono creare un po’ di ripresa ma senza interferire sul nodo della diseguaglianza.
Rimodulare i sistemi fiscali ( non solo meno tasse ma prelievo per tutti, a partire da chi piu’ ha ), riorganizzare le politiche infrastrutturali ( non possono servire solo al Pil ma a intervenire su cose utili alle comunita’), ideare qualche forma di vigilanza sulle spericolate attivita’ finanziarie, sembrano ormai passi indispensabili per aprire una nuova stagione.
Immagino l’obiezione, peraltro fondata. Si tratta di cose gigantesche che incidono sull’assetto reale dei poteri e degli equilibri economici e finanziari dominanti. Vero, e vero e’ anche che non sembrano esserci in campo i rapporti di forza per una politica tanto radicale e incisiva. Eppure e’ su questa contesa che, da noi e in Europa, si misurera’ la sfida di accumulo di energia politica e sociale. La spinta sociale che oggi circola e’ potente, anche se impetuosa, non democraticamente orientata. E col rischio, certo, di finire dalla padella dell’establishment dell’austerita’ alla brace ardente dei nuovi totalitarismi. Ma e’ una spinta che c’e’. Investire su di essa , certo senza ingenui e semplificanti estremismi, e’ la sfida che una sinistra seria ( e anche un centro sinistra serio ) non potranno mancare.
Nei giorni scorsi qui da noi l’ex sindaco di Milano ha fatto cenno , nal caos di queste ore, a un qualche rinnovato disegno politico. Le sue parole, pur lucide, sono apparse forse un po’ troppo distanti da questa indispensabile curvatura sociale. Se capaci di assumere questa consapevolezza possono diventare pero’ una utile strada per aiutare a riconnettere la sinistra al Paese e a non rassegnarsi all’implosione della democrazia. Cosa quest’ultima che ,oltre che una tragedia, sarebbe una beffa proprio ora che in tanti hanno ribadito la centralita’ della Costituzione democratica e antifascista.