I ragazzi italiani si distinguono dagli altri paesi europei per il desiderio di essere parte attiva nel promuovere il bene della propria comunità: il valore più elevato, infatti, è quello dell’Italia (83,4%), seguita dalla Spagna (circa 81%), mentre si scende sotto il 70% in Gran Bretagna, Francia e Germania.
Sono questi alcuni dei dati emersi dal focus sulla partecipazione sociale e politica realizzato dall’Osservatorio giovani dell’Istituto G. Toniolo assieme all’Agenzia Nazionale Giovani. I dati derivano da due indagini rappresentative dei giovani tra i 18 e i 34 anni. La prima è stata condotta a inizio ottobre 2016 su un campione di oltre 6 mila giovani italiani. La seconda è stata condotta a metà luglio 2016 sui sei paesi dell’Unione europea più popolosi, inclusa la Gran Bretagna appena uscita (gli altri sono: Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia), su un campione di circa 1000 giovani in ciascun paese.
I ragazzi italiani, dunque, presentano un grande desiderio di essere soggetti attivi nei processi di cambiamento e miglioramento del territorio in cui vivono. Le nuove generazioni nel nostro paese si trovano con maggiori ostacoli nell’entrata piena del mondo del lavoro, nella realizzazione dei propri progetti di vita, ma anche meno nel coinvolgimento nell’impegno sociale rispetto ai coetanei degli altri paesi avanzati. Eppure il loro desiderio di essere partecipativi e di contare è alto. Rischiano quindi non solo di essere una generazione incompiuta nella costruzione del proprio futuro, ma anche sottoutilizzata rispetto alle potenzialità che può esprimere nel miglioramento sociale del paese.
Dal focus emerge anche che il 74,2% dei giovani tra i 18 e i 34 anni in Italia si dichiara disposto a svolgere attività di volontariato. Rispetto ai coetanei degli altri paesi europei è più marcata la disponibilità a mettere a disposizione il proprio tempo per svolgere attività di solidarietà (69,5% Spagna; 61,3 Regno Unito; 60,7% Polonia; 57,5% Francia; 56% Germania).I giovani italiani hanno maturato anche una alta consapevolezza della necessità di avere un peso nei processi decisionali collettivi. Oltre il 60% degli intervistati chiede un ruolo attivo delle nuove generazioni nella definizione delle politiche che li riguardano. Solo il 5,8% ritiene che non dovrebbero occuparsene e che a decidere deve essere solo politici e tecnici di esperienza.
“Nel complesso, – spiega Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore del Rapporto Giovani dell’istituto Toniolo – l’Italia ha una larga parte di giovani che vorrebbero informarsi, scegliere, operare come cittadini, realizzare pieni progetti di vita, mettersi fattivamente alla prova nel volontariato e nel mondo del lavoro. Meno però oggi riescono a farlo, con il rischio di creare forte frustrazione, di perdere fiducia nelle istituzioni e senso di appartenenza sociale. “Partire da quello che i giovani vorrebbero fare – conclude Rosina – e aiutarli a realizzarlo con successo è la strada principale per trasformare i giovani da principale vittime di un paese in declino a risorsa principale di un paese che torna a crescere”.
Al Sud la politica nazionale e locale ha pensato sempre che comunque qui da noi una società che si arrangia e si adatta finisce sempre per resistere a lungo e poi riesce in loco ad elaborare una sua linea di sviluppo.
Il terreno più fertile da coltivare? I giovani! Il corto circuito generazionale appare lacerante.E spesso siamo diventati,noi adulti,genitori e nonni,ladri di fiducia. La politica vera riporti tutti al tavolo di gioco per un confronto sul merito delle proposte e sulle scelte da mettere in campo.