“Chi festeggia Sant’Antuono, tutto l’anno ‘o passa ‘buon”: è questo il motto che quasi come una cantilena, si scambiano gli abitanti dell’hinterland vesuviano, soprattutto nella zona di Sant’Anastasia, dove nel giorno del 17 gennaio, viene festeggiato Sant’Antonio, il protettore degli animali domestici, fondatore della vita monastica, vissuto tra il 250 e il 356 d.C. nel Medio Egitto. Questi fuochi artificiosi divampano in alto, le fiamme portano via la sfortuna e in base alla direzione del vento, i contadini intuiscono da che parte il raccolto per quell’anno sarà abbondante e fruttuoso. In passato intorno ai fucarazzi venivano fatti pascolare gli animali da cortile e da fattoria, per far sì che la “benedizione” di quel culto scendesse anche sugli amici a quattro zampe. Sant’Anastasia, Pomigliano d’Arco, Marigliano e Massa di Somma sono i paesi dove ancora tutt’oggi la sera vengono organizzati i tanto attesi “fucarazzi “dalla popolazione; quanto siamo allora “moderni” nel 2015 se ancorati tuttavia ad antichissime radici e ataviche tradizioni? Cosa possono rievocare alla mente i “fucarazzi?” Un enorme falò che brucia di notte potrebbe ricollegarsi infatti alle tradizioni celtiche della Befana, in quanto questo popolo del Nord bruciava un fantoccio per lo stesso motivo: scacciare i demoni cattivi. O ancora ricercare un significato che affonda nella storia: i roghi di fuoco dove la Santa Inquisizione bruciava vive le streghe, giudicate portatrici del male e strumenti del demonio. Oppure gli antichi Indiani d’America che per “captatio benevolentiae” bruciavano i totem attirandosi così le grazie delle divinità della Natura e auspicare un buon raccolto; e ancora gli antichi greci e i romani che per augurarsi un anno agricolo proficuo immolavano sacrifici con animali, bruciandone i resti e dal sangue o dalle ceneri ne interpretavano il segno divino. Secondo una tradizione che cambia e continua nel corso dei secoli, i “fucarazzi” di Sant’Antonio quindi hanno una funzione purificatrice e fecondatrice: il fuoco, simbolo del passaggio dall’inverno alla primavera, scaccia i malanni e scongiura i malocchi; questa festa dedicata al Santo, ritratto di solito con un piccolo maialino, segna l’inizio di un nuovo periodo: l’antico capodanno che dà il via al ciclo carnevalesco. Oggi il 17 gennaio è visto come un momento religioso in cui segue nelle piazze una manifestazione folkloristica, legata agli elementi dell’antica vita contadina; una cultura locale, una funzione rappresentativa in cui si ricerca la propria identità collettiva e si riscopre il piacere di fare un tuffo nel passato, utilizzando il “calore” del fuoco ma soprattutto il “calore” della gente.