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CARNEVALE A NAPOLI : STORIA E TRADIZIONI

Il Carnevale, sia in Italia che all’estero, ha radici molto antiche, che si diramano un po’ ovunque e in modo simile. A Napoli il giorno di Sant’Antuono (Sant’Antonio Abate, 17 gennaio) segnava l’ingresso del Carnevale e in questa occasione si dava fuoco a cataste di roba vecchia. Le prime notizie sul Carnevale partenopeo sono note grazie all’opera “Ritratto o modello delle grandezze, delle letizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli“, opera del nobile marchese Giovan Battista del Tufo. Egli racconta che nel XVI secolo il travestirsi era una festa esclusiva di nobili cavalieri, delle dame, duchesse e di tutta l’alta aristocrazia napoletana, che partecipava ai tornei, ai balli, alla caccia la toro e ai ricevimenti pomposi della Corte Aragonese. Ma attorno al 1600 qualcosa iniziò a mutare: le mascherate avevano affascinato anche la plebe tanto da spingere pescatori, macellai, pescivendoli e contadini ad organizzare un Carnevale del popolo. Quindi il Carnevale antico di Napoli era caratterizzato da questa duplice faccia: una nobile, dei sovrani, delle autorità ecclesiastiche e l’altra popolana e più privata. Il periodo più glorioso per il Carnevale fu con i Borbone, infatti veniva festeggiato con sfilate, mascherate, carri allegorici sfarzosi, addobbati in occasione della festa di Piedigrotta. Questi carri erano arricchiti con vivande, cibo, salumi e formaggi e spesso erano preda di violenti saccheggi da parte dell’affamato popolo napoletano. A Carnevale, immaginato come un personaggio grasso e dedito a grandi abbuffate , si affiancava la “Vecchia ‘o Carnevale”, dalle giovani e prorompenti curve, ma con il viso da anziana, che trasportava a cavalcioni o sulla gobba un piccolo Pulcinella. Siccome il saccheggio dei carri provocava spesso dei gravissimi incidenti, nel 1746 re Carlo di Borbone stabilì che i carri–cuccagna, invece di attraversare le strade cittadine, dovevano essere allestiti nel largo di Palazzo e che fossero guardati a vista da truppe armate fino all’inizio dei  festeggiamenti.  I carri, durante i secoli XVII e XVIII, furono sostituiti dall’ “albero della Cuccagna” o “palo di sapone” che veniva reso scivoloso grazie al sapone, in modo da rendere più difficile l’arrampicata dei concorrenti per arrivare alle vivande poste in cima. Da qui trae origine anche l’espressione “cuccagna” inteso come “paese delle meraviglie, dei piacere e delle delizie”. Il gioco era finalizzato all’“abbuffata“, che a Napoli era l’usanza da parte del popolo di saziarsi abbondantemente prima di iniziare il lungo digiuno quaresimale. Durante l’800 era diventato quasi un rito l’insolita e divertente cavalcata di struzzi, che annunciavano il passaggio dei carri allegorici in Via Toledo, oppure i carri con il cavallo impennato, simbolo della città, con l’immancabile e sorridente popolana affacciata al balcone, o la cornucopia dell’Abbondanza o ancora la seducente sirena Partenope. E qual erano le maschere più accreditate tra il popolo? Oltre al celebre Pulcinella, simbolo del Carnevale partenopeo ma anche della sua cultura, ricordiamo altre “mezze maschere” popolari come la già citata Vecchia del Carnevale, la Zeza, Don Nicola e Don Felice Sciosciammocca. Alla Vecchia del Carnevale sono stati attribuiti numerosi significati allegorici, la parte deforme ed invecchiata del corpo rappresenta il tempo passato negativamente, l’inverno e la natura appassita, mentre la parte giovanile e prosperosa simboleggia la primavera, l’arrivo del nuovo anno ricco e fecondo. La Zeza, invece, è la moglie di Pulcinella, Lucrezia ed è un personaggio del teatro popolare napoletano, protagonista di una commedia molto antica diffusasi nel 1600 che racconta dell’amore contrastato tra la loro figlia Vincenzella e Don Nicola, uno studente di origine calabrese.Oggi del Carnevale come veniva concepito dai nostri antenati rimane ben poco, anche se in Italia continua ad essere una festa molto sentita. Anche in cucina i napoletani non perdono occasione per esibire la propria ricca gastronomia, dalla lasagna al sanguinaccio (crema di cioccolata che una volta veniva fatta col sangue di maiale ed oggi vietata dalle norme sanitarie), dalle castagnole al migliaccio, per terminare con le famose e gustose “chiacchiere“.

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