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ROSTAN:”Sicurezza, grande questione sociale.la camorra va combattuta non solo con gli strumenti della repressione.”

di Michela Rostan

Una camorra sempre più violenta, divisa, conflittuale e quindi sempre più pericolosa. E’ quello che emerge dalla relazione semestrale della Dia, presentata nei giorni scorsi a Napoli. Sono oltre cinquanta i clan che si contendono il controllo del territorio tra la città e la provincia. Una frammentazione che fa crescere gli scontri, aumenta il peso sociale del fenomeno, ne amplifica l’impatto e la durezza sulla vita economica del territorio. Le azioni violente, del resto, sono all’ordine del giorno e i cittadini ne portano quotidianamente i segni, dentro una inevitabile trasformazione delle abitudini e una crescita del sentimento di paura e di impotenza. A rendere il dramma più profondo, anche la sempre più giovane età degli appartenenti ai sodalizi criminali. Clan di minorenni armati che prima ancora di compiere diciotto anni si sono già macchiati di omicidi e gravi reati.

Una presenza, quella camorristica, che toglie ossigeno alla vita civile. Incide sull’economia reale, inquina il mercato, e non solo; altera la concorrenza, crea e alimenta un circuito di sottosviluppo da cui attinge, poi, consenso sociale e subordinazione, manovalanza a basso prezzo e controllo del territorio.

A conferma di questa mappa drammatica, sono arrivate in questi giorni le notizie del blitz delle forze dell’ordine nel Rione Traiano di Napoli. Oltre ottanta arresti e una roccaforte della droga smontata pezzo per pezzo. Quello che emerge è, però, il ritratto di un segmento di città sequestrato alla vita normale e sotto il controllo dei clan.  Vedette sui palazzi, bunker videosorvegliati e blindati, canali di fuga realizzati abusivamente nei sottoscala delle case popolari. Un vero assedio, che segnala con forza che la camorra, come tutto il tema della sicurezza, è soprattutto una grande questione sociale. Lo è perché strettamente connessa al sottosviluppo economico, alla disoccupazione, al degrado ambientale e lo è perché, a sua volta, la criminalità organizzata lavora e ha interesse a tenere così la situazione, perché dal disagio trae forza.

Ecco perché la criminalità organizzata va combattuta non solo con gli strumenti della repressione. Intendiamoci, polizia, carabinieri, magistratura fanno una opera indispensabile e meritoria. Ma per ogni arresto, c’è un nuovo capo pronto a collocarsi. Per svuotare l’acqua nella quale cresce la malapianta, bisogna aggredire le grandi questioni sociali che sono alla base di questa forza: il lavoro e lo sviluppo, innanzitutto; con gli strumenti del welfare comunale, della scuola, del lavoro sociale. Bisogna che lo Stato, in tutte le sue articolazioni, torni a far sentire la sua presenza nei luoghi del dramma. Non solo con le divise ma, soprattutto, con la speranza, con il progetto. Lo hanno giustamente sottolineato, all’apertura dell’anno giudiziario a Napoli, il presidente della Corte d’Appello, Giuseppe de Carolis di Prossedi, e il Procuratore generale, Luigi Riello, segnalando la grande questione della sicurezza e la necessità di accompagnare la lotta al crimine con misure di intervento sociale, soprattutto sui minori, coinvolti mai così tanto nelle dinamiche criminali.

«Non possiamo chiedere ai cittadini di collaborare se non assicuriamo loro sicurezza dalla barbarie del crimine», ha sottolineato in particolare Luigi Riello, spiegando con le parole giuste che lo Stato deve ricostruire una connessione con i cittadini, dimostrando di essere in grado di proteggerli e tutelarli. Si è lacerato da tempo il tessuto della fiducia collettiva nelle istituzioni, percepite spesso come inermi e inadeguate. E’ da lì che bisogna ripartire.

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