Più si stringerà la morsa attorno ai jihadisti nella parte ovest di Mosul, più assisteremo a un accanimento del Daesh contro l’infanzia. Hanno sempre “usato” i bambini. Nei modi più terribili. I fatti sono stati ampiamente documentati negli ultimi due anni: sotto il Califfato, i minori sono stati le prime vittime innocenti.
Vittime di un indottrinamento incentrato, oltre che sull’addestramento militare, sull’incitamento contro tutte le categorie di «infedeli e apostati». Vittime anche di una propaganda jihadista che, operando come una macchina da guerra, ha impiegato, decine e decine di volte, dei bambini per mandare messaggi al nemico oppure per costituire plotoni di esecuzione contro ostaggi e soldati. Vittime di un culto della morte che esalta l’azione suicida contro gli infedeli come l’atto più “sublime” di un pio musulmano. In base ai comunicati ufficiali dell’agenzia jihadista Aamaq, Daesh ha impiegato dal 18 ottobre, data di inizio della battaglia di Mosul, fino a oggi circa trecento kamikaze contro le forze governative, i peshmerga curdi e i miliziani sciiti della Mobilitazione popolare.
I volti dei “martiri” che accompagnano i bollettini mostrano spesso, nonostante altisonanti nomi di guerra, dei quindicenni. Qualche volta anche meno.