Papa Francesco ha ricevuto in udienza i capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, giunti in Italia per le celebrazioni del 60° anniversario dei “Trattati di Roma”.«Penso che l’Europa meriti di essere costruita». Le parole pronunciate in Campidoglio sessant’anni fa dall’allora primo ministro lussemburghese Joseph Bech, sono diventate quelle di papa Francesco. Anzi, ne ha fatto l’inizio di una nuova possibilità di rinascita rivolgendosi ai capi di stato e di governo dell’Unione europea in Vaticano per la ricorrenza della storica firma dei Trattati di Roma che diedero il via all’Europa unita. Memoria che Francesco ha voluto trasformare in atto di azione per ricomprenderne la portata nel presente e per rilanciare l’Europa dalle sue fondamenta. A partire dal lascito dei Padri fondatori, che «hanno avuto fede nella possibilità di un avvenire migliore», che « «non hanno mancato d’audacia e non hanno agito troppo tardi», ha ridato voce alla provocante attualità del loro pensiero, «all’appassionato impegno per il bene comune che li ha caratterizzati, nella certezza di essere parte di un’opera più grande delle loro persone». Il Papa ha così innaffiato la radici alla memoria dell’Europa compiendo un’ermeneutica per il suo riscatto. Un discorso intenso, in continuità con quello già rivolto ai leader europei a Strasburgo nel novembre 2014 e in occasione del Premio Carlo Magno nel maggio dello scosso anno, nel quale chiede oggi ai governati «di non aver paura di assumere decisioni efficaci, in grado di rispondere ai problemi reali delle persone», indicando la solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento dello sviluppo e della pace, una strada percorribile per uscire dalle molte crisi che oggi rischiano di far implodere l’Europa.
L’Europa dei Padri non è un prontuario di rivendicazioni
«Dopo gli anni bui e cruenti della Seconda Guerra Mondiale il ricordo delle passate sventure e delle loro colpe sembra averli ispirati e donato loro il coraggio necessario per dimenticare le vecchie contese e pensare ed agire in modo veramente nuovo per realizzare la più grande trasformazione dell’Europa» spiega Francesco parlando dei Padri fondatori dell’Europa unita. E scelsero Roma per la firma dei Trattati perché «con la sua vocazione all’universalità – come dissero il 25 marzo del 1957 il ministro degli Affari Esteri belga Spaak e quello olandese Lunk – è il simbolo di questa esperienza e qui furono gettate le basi politiche, giuridiche e sociali della nostra civiltà».
«I Padri fondatori ci ricordano che l’Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire» ma «una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere, o di pretese da rivendicare».
Nei Padri fondatori era chiara – afferma Francesco – la consapevolezza di essere parte di un’opera comune, che non solo attraversava i confini degli Stati, ma anche quelli del tempo così da legare le generazioni fra loro, tutte egualmente partecipi della edificazione della casa comune. Il loro denominatore comune era lo spirito di servizio, unito alla passione politica, e alla consapevolezza che «all’origine della civiltà europea si trova il cristianesimo», senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili. Nel nostro mondo multiculturale tali valori continueranno a trovare piena cittadinanza se sapranno mantenere il loro nesso vitale con la radice che li ha generati. «Nella fecondità di tale nesso sta la possibilità – spiega – di edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali trovano ugualmente posto l’oriundo e l’autoctono, il credente e il non credente».
La solidarietà antidoto ai populismi
Per non far rimanere lettera morta i Trattati il Papa ha poi detto che il primo elemento della vitalità europea è la solidarietà.
Restare fedele allo spirito di solidarietà europea che l’ha creata. Spirito quanto mai necessario oggi – ha ribadito – davanti alle spinte centrifughe come pure alla tentazione di ridurre gli ideali fondativi dell’Unione alle necessità produttive, economiche e finanziarie.
Dalla solidarietà nasce la capacità di aprirsi agli altri. Ha quindi ricordato le affermazioni di Adenauer: «I nostri piani non sono di natura egoistica» e quelli che stanno per unirsi non intendono isolarsi dal resto del mondo ed erigere intorno a loro barriere invalicabili». «L’Europa ritrova speranza nella solidarietà, che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi». Francesco Ha ricordato che la solidarietà comporta la consapevolezza di essere parte di un solo corpo. Se «uno soffre, tutti soffrono. Così anche noi oggi piangiamo con il Regno Unito le vittime dell’attentato che ha colpito Londra due giorni fa». Invece i populismi «fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante». Occorre dunque «ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi». I leader politici – afferma Francesco – evitino «di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso», ed elaborino piuttosto delle politiche che «facciano crescere tutta quanta l’Unione» così che «chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa».