di Matteo Renzi
In queste ultime settimane si parla delle scelte dei mille giorni in modo improvvisato, specie sul lavoro e sul bilancio pubblico. Non vi tedio. Dico solo a chi ha voglia di discutere nel merito che la verità non è un optional. Quando si parla di numeri andrebbero rispettati i fatti. Io dico: volete discutere? Bene. Ci stiamo. Il prof. Marco Fortis, la cui straordinaria tenacia contro le fake-news è ammirevole, ha redatto alcuni documenti che da oggi sono disponibili sul sito www.italiaincammino.it e che consentiranno di smontare uno per uno le accuse di chi dice che abbiamo fatto finanza allegra o fatto peggio di altri governi rigorosi solo a parole. Per esempio su questo grafico (slide 32) si vede quanto è cambiato il rapporto debito-pil degli ultimi quattro governi (Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi), è evidente come i momenti in cui i conti sono peggiorati sono quelli dei governi Berlusconi, Monti e Letta. I numeri sfatano una bugia virale di questi mesi. Il prof. Tommaso Nannicini, che sta coordinando anche il programma per la mozione, ha scritto questo contributo molto utile per fare chiarezza su veri numeri del JobsAct. Chi ha un po’ di tempo guardi queste carte: perché vi troverà la risposta ai tanti che in modo superficiale piegano la realtà a polemiche di parte. Ultimo in ordine di tempo il dibattito sulla flessibilità. Una corrente di pensiero dice che noi abbiamo avuto dall’Europa la flessibilità e l’abbiamo usata male. Tre considerazioni tecniche sulla flessibilità:
- L’Europa non ci ha dato la flessibilità. Ce la siamo presa combattendo una durissima battaglia politica nel nostro semestre di presidenza, nel 2014. Al termine del quale abbiamo detto che non avremmo votato Juncker se non ci fosse stato un esplicito riferimento alla flessibilità. Cosa che è avvenuta perché senza il PD col 40% non si chiudeva l’accordo in Europa. Non ci hanno regalato nulla, abbiamo fatto politica e abbiamo vinto una battaglia grazie ai voti presi dagli italiani. Ogni tanto succede.
- La flessibilità non significa “maggiore spazio di deficit rispetto al passato” come fa credere qualcuno. Ma significa “maggiore spazio di deficit rispetto alle assurde previsioni del fiscal compact”. In altri termini: il Governo Monti e il Governo Letta avevano un deficit più alto del nostro, lo avevano al 3%. Noi lo abbiamo ridotto, non aumentato. Siamo stati più rigorosi, non meno rigorosi. Abbiamo usato la flessibilità che ci siamo conquistati per tenere il deficit al 2,3% (che diventerà 2,1% per effetto della manovrina concordata dall’attuale Governo a Bruxelles) anziché arrivare da subito al pareggio di bilancio voluto dalla politica di austerity del passato. Dunque la flessibilità non significa finanza allegra, ricreazione per tutti: noi abbiamo tenuto i conti in ordine più degli ultimi tre governi. Ma abbiamo cercato di farlo senza uccidere le prospettive di crescita, cosa che il fiscal compact – votato da quelli di prima, non da noi – ci avrebbe costretto a fare. Più rigorosi di chi ci ha preceduto, senza però essere totalmente proni alla filosofia dell’austerity. E questo l’abbiamo fatto insieme al ministro Pier Carlo Padoan cui sono legato da un rapporto personale di stima e amicizia che nessun retroscena giornalistico riuscirà a mettere in discussione.
- Il QE della Banca Centrale Europea – che abbiamo sostenuto con tutte le nostre forze durante il semestre di presidenza e che è stato perfettamente gestito dal Presidente Draghi – ha aiutato molto sotto il profilo degli interessi sul debito pubblico: contestualmente la riduzione dello spread è stata possibile grazie anche al lavoro di riforme a cominciare da quella sul lavoro o quella sulle banche popolari. Non a caso nel momento di massima forza riformatrice del Governo abbiamo avuto performance superiori a quelle di altri Paesi, come la Spagna ad esempio, che invece nell’imminenza del referendum e soprattutto dopo la sconfitta ci hanno di nuovo superato
Insomma. Io non voglio difendere il lavoro del governo dei mille giorni per dovere professionale. Quello che abbiamo fatto, abbiamo fatto. Punto. È il passato, anche coi suoi errori. Produrrà effetti più di quanto si creda, non solo sul cantiere sociale, dalle periferie alla povertà, dal dopo di noi al terzo settore. Oggi ad esempio il mondo dello spettacolo si è riunito al Quirinale per i David di Donatello e molto giustamente Benigni ha definito il cinema come uno degli strumenti per “consentire alle nostre anime di raggiungerci”: abbiamo lavorato molto con la legge sul cinema e non solo con questa per investire nella cultura come valore prezioso per le prossime generazioni.
Ma se si vuole discutere della recente storia di questo meraviglioso Paese bisogna dire la verità. Troppo spesso noi non abbiamo replicato nel merito, lasciando che chiunque mettesse in circolo mezze verità o intere menzogne. Abbiamo permesso con questo approccio che chi ha organizzato intere strutture finalizzate a diffondere falsità e viralizzare concetti semplici ma fasulli prevalesse in particolar modo nel mondo dei social.
Per vincere la sfida non serve rivendicare il passato. Bisogna indicare una direzione al Paese. Ma senza la verità su ciò che è accaduto ogni prospettiva perde serietà e rigore. E non possiamo permettere che la storia sia scritta dalle notizie false.