Nonostante gli interventi normativi che hanno ridotto il ricorso alla carcerazione, in favore di pene alternative, il carcere resta un’emergenza: a fronte di 55.827 detenuti a gennaio 2017(62.536 nel 2013),i posti disponibili sono 45.509. Mancano ancora diecimila posti letto. E’ un panorama in chiaroscuro quello della prima relazione al Parlamento del Garante nazionale delle persone detenute,in carcere, in camere di sicurezza,centri per migranti irregolari,strutture di lunga degenza per disabili e anziani privati della capacità legale, che tra le criticità sottolinea “il limbo giuridico degli hotspot” centri per assistenza attrezzati per identificare i richiedenti asilo,voluti dall’Unione Europea.
Del testo presentato dal Garante nazionale Mauro Palma,che in questi giorni è stato anche nel carcere di Poggioreale,riemerge il fenomeno del sovraffollamento nei penitenziari italiani e tra i nodi irrisolti anche quello del disagio mentale. Un anno intenso quello del Garante nazionale che ha effettuato 80 visite in 20 Istituti di pena,ma anche in un carcere militare,in istituti per minori,case famiglie per madri detenute con figli e hotspot. Un’attenzione sul carcere per la politica, per la magistratura e per le tante associazione di volontariato. Ma l’umanizzazione del carcere non vuol dire “buonismo”. Chi sconta la pena con misure alternative ha tassi di recidiva inversamente proporzionali a chi resta in cella,quindi garantire diritti alle persone detenute non è altra cosa rispetto all’obiettivo di garantire la sicurezza,di renderle le nostre città più sicure. E’ la Costituzione a sancire che la pena,nel rispetto della dignità e dei diritti fondamentali,deve favorire il resinserimento sociale e lo Stato,nel suo complesso,ha il compito di offrire un’occasione di recupero. Ma la strada è ancora lunga e in salita.La politica ha spero a brevissimo un appuntamento rispetto al quale può chiarire la propria posizione. Guardare in faccia i problemi, affrontarli insieme quotidianamente con ulteriori strumenti di garanzia e di accompagnamento mettendo chi lavora in carcere di lavorarci nelle condizioni ottimali, o nascondere la testa sotto la sabbia, alzare le spalle e aspettare che altri risolvano le criticità.
E se incominciassimo anche a cambiare il linguaggio usato in carcere? Il linguaggio penitenziario,lingua estranea al mondo esterno:spesino,scopino,rattoppino,mercede,superiore,per fare qualche esempio.
Ci sono tante buone pratiche nelle carceri. C’è l’altra Italia dietro le sbarre,anche dietro le storie di innocenti o di recuperati. Non solo grandi o piccoli progetti,ma centinaia di piccole conquiste che si compiono dietro le sbarre. Libri,futuro,lavoro,assistenza,teatro,terreni coltivati,agricoltura sociale,cooperative aperte al territorio.
E poi papa Francesco che visita,ricorda,denuncia,come ultimamente a san Vittore a Milano:” Io mi sento a casa con voi.Voglio bene a queste persone.” Con una frase secca ma impegnativa ha ricordato che sono nostri fratelli ed ha invitato a non dire mai che chi è dentro si merita il carcere, poichè non si conoscono le storie di vita di chi è dentro.
Ricordiamo anche i 40 suicidi in cella del 2016 e le migliaia di persone uscite innocentemente,senza aver fatto nemmeno il processo di primo grado. Ricordiamo accanto a quelli che hanno subito un’ingiusta carcerazione preventiva quelli che hanno subito un’ingiusta carcerazione.
Il rischio è proprio questo:si entra perchè si è commesso,il più delle volte,un reato e si esce dopo aver subito un reato.