Cos’è Internet of Things (IoT) se non l’anticamera di quel mondo telecomandato ed asservito ad un potere occulto e assoluto che settant’anni fa George Orwell preconizzò nel suo celeberrimo romanzo “1984”? Internet delle cose – termine coniato non oggi, bensì nel 1999 – è una straordinaria e variegata gamma di oggetti (attualmente si stimano in 5 miliardi che diventeranno 25 entro il 2020) connessi alla Rete tramite sensori allo scopo di facilitarci il vivere quotidiano.
Domotica, robotica, telemetria, telematica sono soltanto alcuni dei campi di applicazione di IoT. Dunque, sensori e misuratori a go-go: applicabili alle automobili, riducendone i consumi individuando percorsi intelligenti; agli elettrodomestici, sempre più telecomandati a distanza; alle piante di casa, monitorandone la necessità di acqua e di esposizione alla luce; ai frigoriferi, rendendoli in grado di segnalare i prodotti in scadenza da consumare in fretta; alla sveglia sul comodino, pronta a squillare in anticipo se le condizioni di traffico si annunciano infernali; e altro ancora, in un valzer infinito di opportunità che – a ben guardare – rischiano di consegnare la nostra vita, le nostre abitudini, le nostre intimità ad un Grande Fratello di orwelliana memoria in grado di spiarci ovunque e comunque.
IoT è un mondo nuovo, affascinante e complesso, che esige una riflessione scevra da pregiudizi sulle implicazioni etiche e normative. Perché la libertà di ciascuno di noi non può essere immolata con superficialità sull’altare della tecnologia.