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OGGI LA FRANCIA SCEGLIE TRA EUROPA E SOVRANISMO. SCEGLIE SE AVERE UNA FASCISTA A PRESIDENTE.

Oggi i cittadini francesi saranno chiamati ad esprimere la loro scelta in un’elezione storica. La prima della V Repubblica senza i due grandi partiti della storia politica d’Oltralpe. Eliminati al primo turno i socialisti e gli eredi della tradizione gollista, ora sono Emmanuel Macron e Marine Le Pen a contendersi i voti della maggioranza dei francesi. Una novità assoluta che contrappone due idee diverse del mondo e due approcci opposti alla politica. Da una parte un partito nuovo di zecca, europeista e riformista, che nel giro di un anno ha mandato in soffitta le vecchie formazioni e ha portato il suo leader ad un soffio dall’Eliseo; dall’altra un partito che ha saputo trasformare la rabbia di alcune fasce della popolazione in consenso, pur con forti e pesanti concessioni al populismo xenofobo.

C’è una risposta – nella lunga e bella intervista di Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 5 maggio) – che fa capire molto di Marine Le Pen. Trovandosi nel villaggio di Ennemain (227 abitanti, Piccardia, nord della Francia) dice: “Sono venuta qui perché questo villaggio rappresenta la Francia. Guardi il campanile qua fuori, i contadini che i salotti di Parigi disprezzano, i campi…”.

Ecco, il campanile: il campanile del petit village della Francia profonda – specie normanna-bretone – è il simbolo di tutta una storia che affonda le radici nella notte dei tempi e che secolo dopo secolo ha resistito e anzi fiorita nell’Ottocento: quante pagine di Maupassant e ancora all’inizio del Novecento, di Proust sono segnate dai campanili… (“Soli, elevati sopra il livello della pianura e come perduti nell’aperta campagna, salivano verso il cielo i due campanili di Martinville. Ben presto ne vedemmo tre: venuto a mettersi di fronte a loro con ardito volteggio, un campanile ritardatario, quello di Vieuxvicq, li aveva raggiunti. I minuti passavano, si andava in fretta, eppure i tre campanili erano sempre lontani davanti a noi, come tre uccelli posati sulla pianura, immobili, che si scorgano nel sole”- M.Proust, La Strada di Swann).

L’operazione è parlare alla Francia profonda. Operazione che peraltro non le sta riuscendo del tutto: lasciamo stare Parigi, ma l’ovest – l’Alvernia, l’Aquitania, la Bretagna atlantica, persino la Vandea – non è forse Francia profonda? Eppure ha votato Macron. Insomma, questa storia di città contro campagna non è esatta al 100%.

Veniamo a MACRON:

“Fottuto banchiere” o ardito riformatore del pensiero di sinistra? Da quando è entrato in politica, Emanuel Macron è vissuto alternativamente in questi due ruoli, a seconda che parlino i suoi detrattori o i suoi fans. In realtà, fottuto banchiere lo è stato per poco, anche se in una delle banche d’affari più prestigiose del mondo, la Rothschild.

La sua formazione è quella delle classi dirigenti francesi, prima gli studi a Science Po, poi l’Ena, l’alta scuola della pubblica amministrazione, la chiamata, giovanissimo, da parte di Jacque Delors, a far parte della Commissione per le riforme voluta da Nicolas Sarkozy, poi il passaggio all’ispezione generale delle finanze, la nomina a vicesegretario generale dell’Eliseo con Francois Holland, infine la nomina a ministro dell’economia nel secondo governo Valls. Ma la sua non è una rigida formazione economica: è passata anche attraverso gli studi con il filosofo marxista Etienne Balibar e la collaborazione con Paul Ricoeur.

La filosofia, scrive Macron “Aiuta a costruire. Dà un senso a ciò che, altrimenti, è soltanto un magma di atti e discorsi. È una disciplina che non vale nulla senza il confronto con la realtà. E la realtà non vale nulla senza la sua capacità di risalire al concetto”. Non male, come riflessione di un fottuto banchiere che di sé dice: “Sono un idealista insieme determinato e pragmatico. Lo sono nella mia vita privata, nella vita politica, nella mia vita sociale.

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