Nicola Pagliara, nato a Roma nel 1933, architetto, già docente alla Federico I dopo aver trascorso la sua adolescenza a Trieste, nel 1947 si trasferisce a Napoli, città nella quale tutt’oggi vive e lavora. Nel 1958 consegue la laurea in Architettura con una tesi sul Liberty napoletano dell’inizio ‘900. Dopo gli studi intraprende la carriera universitaria conseguendo, nel 1969, la libera docenza. Nel 1977 ottiene la cattedra di Professore Ordinario di Progettazione Architettonica. Nel 1979 è insignito dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini del premio per l’Architettura dell’ Accademia nazionale di San Luca di cui è accademico ordinario
Nel 1997 in occasione delle elezioni amministrative, fu inizialmente indicato tra i candidati alla carica di sindaco per il Comune di Napoli.
Nel corso della sua lunga carriera ha pubblicato numerosi saggi sull’architettura e diversi album di progetti. Ultimo in ordine di tempo è il suo “Dieci lezioni di architettura” edito da Clean (2007). Autore di numerose opere, tra cui le famose Torri del Banco di Napoli al Centro Direzionale di Napoli, le architetture di Nicola Pagliara sono state ospitate e recensite dalle più importanti riviste nazionali ed internazionali.
Tra le sue ultime opere realizzate troviamo il Grand Hotel di Salerno (2007), un’opera architettonica imponente, con una caratteristica forma a prua di nave che si estende sull’incantevole scenario del Golfo di Salerno e la Biblioteca del polo tecnico-scientifico dell’Università degli Studi di Salerno (2013).
La sua attività è stata riassunta da Paolo Porto che nel suo libro “I grandi architetti del 900”: «Pagliara appartiene piuttosto a quel gruppo di maestri della terza generazione che hanno compreso fin dagli anni Cinquanta, che per uscire dal vicolo cieco in cui si trovava l’architettura era indispensabile rivolgersi ai pionieri, rimescolare le carte e indagare nei sotterranei dell’architettura moderna, in quei luoghi in cui il moderno aveva iniziato ad agire non ancora vincolato all’estremismo che lo ha condotto all’azzeramento dei rapporti con la tradizione».
Ma più interessante per capire l’uomo, oltre che lo studioso è la testimonianza della moglie Valeria con la quale da pochi giorni ha festeggiato il traguardo delle nozze d’oro.
«Una vita intera sotto lo stesso tetto, “mission impossibile” se non si è dotati di una buona dose di tolleranza condiscendenza, sopportazione e tanta pazienza. Soprattutto – parola di moglie – quando il marito di cui si parla è l’architetto Nicola Pagliara, urbanista e docente di Progettazione alla Federico Il. Quello che disegnò le famose «vasche dei capitoni»: ma tanti ancora le ricordano. Una vicenda abbastanza grottesca che risale a oltre venti anni fa e di cui si scrisse e si parlò a lungo. Era il 1986 el’architetto napoletano, sempre piuttosto bizzarro e stravagante, ebbe l’incarico da Ferdinando Ventriglia allora presidente del Banco di Napoli di risolvere l’annoso problema dei vu cumprà praticamente accampati lungo il marciapiedi di via Toledo che dava accesso all’istituto di credito. Nicola Pagliara accetto la sfida con soddisfazione considerando un onore quello di “manomettere” l’opera di un grande architetto come Piacentini con un intervento di “completamente” della facciata. «Era molto contento mio marito, perché ancora non sapeva a quali conseguenze sarebbe andato incontro».
«Nicola disegnò due grandi fontane arabe che vennero installate sul marciapiedi per contrastare la sosta degli ambulanti. L’opera fu inaugurata sotto Natale. Evidentemente non piacque e qualche buontempone decise di buttarci dentro delle anguille. Un modo “garbato” per fargli capire che le sue fontane più che una prestigiosa opera architettonica sembravano vasche per i capitoni di Natale».
La signora poi ricorda la breve parentesi politica del marito, durata appena 10 giorni.
«Sei un architetto? E fai l’architetto, gli dicevo. Ognuno ha il suo mestiere. Lo supplicai di lasciare perdere, ero assolutamente contraria a quest’avventura. Solo per dieci giorni, poi capì che non era il caso di andare avanti. giusto il tempo di sconvolgere la Vita dl una famiglia e finire in un ghetto nel quale è rimasto chiuso per anni. Ha pagato a caro prezzo il suo senso civico e civile. Quei dieci giorni furono un massacro fino a quando una mattina convocò i giornalisti nel suo studio e annunciò il ritiro della sua candidatura. Ricordo che sparirono tutti, amici e colleghi, ci ritrovammo improvvisamente soli».