Se pensiamo agli esordi del “Romanzo Giallo” immediatamente ci viene in mente l’epopea di Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle: lo scrittore inglese è ritenuto da tutti il padre dei polizieschi moderni, sicuramente il più famoso. Eppure, quasi mezzo secolo prima del successo di Sherlock, un giornalista e scrittore napoletano inventava il giallo italiano: il suo nome è Francesco Mastriani . Sin da subito appassionato di letteratura, il giovane lesse circa quattrocento classici nel corso dell’adolescenza. Tuttavia, la sua passione era osteggiata dal padre che desiderava per lui un futuro più concreto nel mondo del lavoro. Quando, nel 1836, morì la madre, il diciassettenne Francesco si vide costretto a cedere ai desideri paterni ed a trovare un impiego nel Società Industriale Partenopea di Carlo Filangieri. Un bisogno catartico visto che la sua vita sembrava funestata da una profonda sfortuna: perennemente in miseria, fra collaborazioni giornalistiche poco vantaggiose, insuccessi delle sue opere e sporadici lavori per tirare avanti, costretto a traslocare in continuazione con la famiglia perché incapace di pagare l’affitto. Ad aggravare il tutto si aggiunse l’epidemia di colera che colpì lui ed uccise tre dei suoi sette figli. Questo dolore costante lo avvicinò sempre più alle classe più umili della società napoletana, di cui Mastriani divenne presto portavoce: “La cieca di Sorrento”, pubblicato nel 1852, è la prima opera a carattere sociale della sua produzione. Il lavoro che, però, ha portato lo scrittore napoletano nella storia è “Il mio cadavere”, pubblicato a puntate nel 1851. Il romanzo d’appendice, seppur non ottenne grande apprezzamento dalla critica e dal pubblico del tempo, è considerato il primo giallo scritto in Italia. L’occupazione piemontese e l’Unità segnarono una vera svolta nella produzione del Mastriani. Dal 1863 al 1870 pubblicò quella che gli studiosi definiscono la “trilogia socialista”: tre saggi, separati fra loro, che analizzavano i disagi ed i problemi che vessavano la Napoli post-unitaria. Le tre opere furono, in ordine di pubblicazione: “I vermi. Studi storici su le classi pericolose in Napoli”, un acuto saggio sulla Camorra e su come si andasse sviluppando appoggiata dal nuovo Regno.Il secondo fu “Le ombre. Lavoro e miseria”, una denuncia sullo sfruttamento delle donne nel mondo del lavoro ed, infine, “I misteri di Napoli. Studi storico-sociali”, un acuto romanzo che mostra tutto ciò che la società del tempo voleva nascondere. I tre lavori sono caratterizzati da un fortissimo spirito critico e da uno stampo giornalistico: il Mastriani non evita nemmeno di aggiungere nomi e cognomi delle persone che attacca e questo da un lato gli fece guadagnare la stima del pubblico, dall’altro l’odio degli interessati. Negli anni successivi si dedicò al nascente meridionalismo, ma la sua vita continuò ad essere funestata dalla miseria e da altri lutti: morirono altri suoi figli, fra cui l’amata primogenita Sofia. Morì vecchio e povero a Napoli, nell’ultima casa in cui si era trasferito da pochi mesi, il 7 gennaio del 1891. Molte delle sue opere vennero pubblicate postume dal figlio Filippo, che si impegnò anche a raccogliere e diffondere tutti i lavori paterni, fra articoli, saggi e romanzi.