Quando la realtà virtuale si trasforma in arte avviene qualcosa di magico, di sorprendente. Accade al Festival di Cannes qualche settimana fa, l’installazione prodotta dalla Fondazione Prada è sperimentabile da ieri, e fino al 15 gennaio, a Milano. Un coinvolgimento emotivo e sensoriale più che reale nei panni dei migranti e capire il loro punto di vista. Si chiama “Carne y arena”, l’installazione in realtà virtuale concepita dal regista premio Oscar Alejandro González Iñárritu, il quale catapulta i visitatori in una delle situazioni più dolorose e critiche dei nostri tempi: il pericoloso viaggio di chi cerca una vita migliore e, spesso, sfugge a guerra e violenze, fugge dalla fame, dalla propria disgrazia, in cerca di un luogo migliore, della possibilità che dovrebbe avere ogni essere umano di realizzare i propri sogni, al di là del colore della pelle, della cultura, delle proprie origini, e al di là della fede. La figura è ritratta con lo zaino in spalla, i piedi nudi immersi nella sabbia, intorno un deserto buio e sterminato che improvvisamente si popola di un gruppo di migranti che, in fuga, cercano di raggiungere gli agognati Stati Uniti. Poi il rumore chiassoso di un elicottero annuncia l’arrivo dei poliziotti: urla, fasci di luce, fucili puntati, paura. La loro paura è diversa da tutte le altre, perchè è più disperata, è stracciata dalla vita, è consumata dal viaggio, dal peso del dolore che il visitatore non comprenderà mai fino in fondo, perchè il senso del migrare va oltre la realtà virtuale ma allo stesso tempo rientra in essa, perchè il digitale è immerso nella vita. L’arte che diventa digitale è un passo verso l’uomo, per abbracciarlo meglio e fargli comprendere, ancora meglio, ciò che gli è ostile capire e definire: “la carne e la sabbia” di chi scappa dalla vita beffarda e rincorre un senso da darle affinchè il viaggio faccia da approdo in terre migliori e che non diventi un ritorno, pieno delle stesse urla, ma più forti.