Quattro mesi fa un insigne giurista, raffinato intellettuale e gentiluomo, onorava il nostro ateneo con una Lectio Magistralis su “Dignità e Diritti” nel corso della cerimonia di consegna delle pergamene di laurea. Combatteva già allora con il male che ieri ce lo ha portato via, nonostante l’arguzia delle sue osservazioni confermasse la straordinaria lucidità di pensiero.
Il padre del diritto di avere diritti, lo strenuo propugnatore dell’estensione delle libertà, il difensore dei diritti fondamentali contenuti nella carta costituzionale, parlò in quella sala gremita con la consueta pacatezza ed umiltà senza che l’autorevolezza delle sue parole cedesse di un millimetro alla retorica.
Stefano Rodotà, uno degli ultimi grandi pensatori laici del Novecento che in tanti avrebbero voluto al Colle dopo la presidenza di Giorgio Napolitano, lascia un vuoto difficilmente colmabile.
Che la terra gli sia lieve, come il messaggio che ha lasciato alle nuove generazioni.