Ormai da tanto tempo che L’Europa ci mette nelle ultime posizioni per quanto riguarda la situazione lavorativa delle donne. Infatti la donna è spesso messa ad un bivio, quello di decidere tra la famiglia o la carriera. Per di più la donna percepisce un salario minore rispetto a quello di un uomo dove i ruoli apicali delle donne sono ancora pochi. In Italia ci sono pochi asili nido, soprattutto al Sud, poca flessibilità da parte delle aziende, in particolare le medio piccole. Come si può leggere da una statistica fatta dal presidente dell’Inps Tito Boeri, il quale ha affermato che “il reddito potenziale delle donne lavoratrici subisce un calo molto accentuato pari a -35% nei primi due anni dopo la nascita del figlio, soprattutto fra le donne con un contratto a tempo determinato, perché provoca lunghi periodi di non-occupazione. Le madri sono anche “vittime” del precariato. Se l’obiettivo della legge era stimolare una maggiore condivisione degli oneri per la cura dei figli e cambiare le percezioni di datori di lavoro restii ad assumere le donne in età fertile”. Lo Stato, da solo, sembra dunque non riuscire a smuovere le acque, nonostante nel lontano 2001 venne varato un Piano sui micro-asili aziendali. Piano che però fino a oggi non è andato molto avanti. L’obiettivo prefissato era portare gli asili per la primissima infanzia al 33% dei bambini entro il 2010. Ma nel 2015 la percentuale era ferma al 25%. Con la legge sulla buona scuola, il governo ha creato un Fondo specifico per la costituzione dei Poli per l’infanzia, per bambini fino a 6 anni. Ma nel frattempo le aziende, almeno le più illuminate, hanno iniziato a far rientrare nel welfare aziendale strumenti capaci di andare incontro alle esigenze della lavoratrice neomadre.
Nonostante ciò, ci sono aziende, come per esempio Il Gruppo Pirelli, il quale ha stretto una partnership con un asilo nido di eccellenza, vicino al posto di lavoro, che viene pagato per metà dall’azienda. Mediaset ha il suo asilo nido, così come alcune grandi banche (ma certo non in tutte le filiali) da Bnl a Intesa San Paolo, fino a Unipol e Mediolanum e anche l’Università Milano Bicocca ha un asilo d’eccellenza per le lavoratrici madri. Ci sono poi le imprese farmaceutiche, dove la percentuale di lavoratrici donne è molto elevata (più di 4 addetti su 10 sono donne, spesso con ruoli di grande responsabilità) che hanno messo su molti servizi di welfare aziendale. Ne ha uno dedicato alle neomamme il 77% delle imprese farmaceutiche, un po’ meno nell’industria dove calano al 44%, tutti strumenti per il bilanciamento tra carriera, famiglia e vita privata che vanno dai servizi di formazione e studio per i figli, agli asili nido. Anche Nesté Italia da tempo offre alle lavoratrici mamme che rientrano, la possibilità di un periodo di occupazione part-time, senza poi penalizzazioni sulla carriera, ma anche il telelavoro, i padri hanno un permesso di paternità di due settimane retribuito al 100% già dal 2012, anno in cui a Nestlé è stato introdotto il lavoro agile, che permette di poter lavorare da casa in alcune occasioni. E anche alla Fca di Torino, nel 2007, Sergio Marchionne fece riaprire l’asilo nido a Mirafiori, tarandolo tra l’altro sui bisogni dei dipendenti che lavorano su più turni. E proprio oggi Tim ha ottenuto la certificazione “Family Audit”, che attesta la capacità di un’organizzazione di offrire ambienti di lavoro di qualità e di saper conciliare vita e lavoro dei dipendenti. Anche Tim offre infatti alcuni servizi di welfare, tra cui gli asili nido.