L’agricoltura italiana, e quella meridionale in particolare, sono ampiamente caratterizzate dalla presenza di aziende di piccole dimensioni, che contribuiscono in maniera rilevante al valore complessivo della produzione nazionale. Esse fanno parte di sistemi produttivi, consolidati da tradizioni secolari e fondati su un’economia di “piccola scala”, che svolgono un ruolo sociale importantissimo.
Innanzitutto la custodia della terra quale bene comune dell’umanità, il presidio della biodiversità attraverso la diversificazione delle colture e delle varietà, la preservazione dell’ambiente con l’impiego minimo della chimica. Un’agricoltura fondamentale che evita, in molti casi, la desertificazione demografica e il dissesto idrogeologico.
L’abbandono delle zone rurali del nostro Paese, iniziato già alla fine dell’800 con le prime emigrazioni transoceaniche, ha provocato infatti una serie di gravi conseguenze, non solo sociali, ma anche ambientali. Si pensi all’alterazione subita dal paesaggio rurale, all’espansione incontrollata della macchia mediterranea, alla proliferazione di specie animali selvatiche, come i cinghiali, alle modificazioni della cultura e delle tradizioni.
Studi autorevoli internazionali sui cambiamenti climatici e sulla sostenibilità globale affermano esplicitamente il valore di un’agricoltura “consistente in un mosaico di pratiche produttive agro-ecologiche che agevolano la conservazione del suolo e degli habitat naturali”.
Nella spirale di spopolamento e di degrado ambientale pare quindi evidente il ruolo stabilizzante e conservativo dell’agricoltura contadina, quale settore strategico soprattutto per il Sud, minacciato da desertificazione progressiva. Ecco perchè dobbiamo dire grazie a chi ha resistito, in questi burrascosi e difficili decenni, alla tentazione di lasciare tutto, di abbandonare un’attività, che in alcuni periodi della storia recente, era diventata antieconomica, soprattutto nelle situazioni più marginali, come quelle montane.
Stiamo parlando della cosiddetta Agricoltura familiare contadina, che gli esperti, ma non ancora il legislatore, individuano in quella praticata nelle aziende di piccole dimensioni, che coltivano i campi e allevano gli animali senza ricorrere a forzature energetiche e chimiche eccessive, che resistono alla concorrenza dell’agricoltura industriale ed intensiva. Un sistema produttivo che è riuscito a resistere per il rinnovato interesse dei cittadini sui problemi dell’ambiente, sulla salubrità e qualità degli alimenti, sui metodi di produzione, sui temi della sostenibilità in generale.
L’agricoltura contadina ha resistito proprio perché non ha voluto col tempo trasformarsi, rimanendo legata alle produzioni e alle tradizioni locali, alla cultura del territorio, contando sull’auto-occupazione, sull’economia familiare, sul recupero degli scarti produttivi, sul rispetto dell’ambiente circostante senza alcun sfruttamento delle risorse naturali presenti. Un plauso anche a chi, soprattutto i giovani, ha riscoperto solo da poco questo tipo di agricoltura e con fatica e dedizione sta lottando per sopravvivere economicamente.
Salvaguardare e tutelare l’agricoltura contadina è quindi una scelta di solidarietà, una battaglia sociale ed occupazionale, un dovere verso chi ha fatto una scelta di vita sacrificata ma fondata su valori di benessere, di amore per la natura e di altruismo. In quanto fenomeno che accompagna l’esistenza umana da secoli, l’agricoltura familiare contadina non può essere considerata solo un’attività economica e produttiva, ma piuttosto un sistema integrato fatto di interazione con l’ecosistema circostante e col paesaggio rurale e tradizionale, un’espressione di realtà socio-culturale, uno stile di vita.
Nel corso di quest’ultimo decennio sono stati fatti decisi passi avanti per sostenere la cosiddetta multifunzionalità delle aziende agricole, contemplando e consentendo una serie di servizi connessi all’attività agricola prevalente, come la vendita diretta, l’agriturismo, la trasformazione aziendale dei prodotti agricoli, l’agricoltura sociale.
Ora occorre uno strumento legislativo ulteriore a tutela di questa agricoltura, ma orientandolo in particolare alle piccole aziende familiari, a quelle che presidiano il territorio, a quelle che svolgono un piccolo ma prezioso servizio all’intera collettività. Uno sforzo prima di tutto legislativo, certamente non facile, per evitare di cadere nella facile demagogia. In Parlamento si stanno esaminando diverse proposte di legge e anche presso il Consiglio Regionale della Campania è stato presentato un analogo provvedimento, trattandosi di materia concorrente.
Si spera che quanto prima si possa disporre di uno strumento che innanzitutto riconosca l’alto valore di questo settore, se è vero che allo Stato compete tutelare la terra quale fonte primaria di cibo, contrastandone altresì il consumo, e se è vero che esso è impegnato ad adottare tutti i mezzi per evitare i cambiamenti climatici e lo spopolamento di interi territori e a preservare la cultura e le tradizioni popolari.
Italo Santangelo