L’implosione dell’Eurozona è fuori pericolo,la ripresa accelera, i rendimenti dei titoli ad alto rischio sono crollati: questi non sono altro che i successi di Mario Draghi a cinque anni dal ‘whatever it takes’, l’impegno preso il 26 luglio 2012 a fare “qualunque cosa necessaria” per salvare l’unione monetaria, prima del quantitative easing.
Il bilancio è positivo: nessuno, oggi, sui mercati, punta seriamente sulla fine dell’euro. nemmeno sull’uscita della Grecia.
Il rendimento del Btp italiano decennale, da oltre il 6% di cinque anni fa, un livello insostenibile che faceva temere l’implosione con l’uscita di un membro fondatore dell’euro, sono crollati e oggi valgono poco più del 2%. L’inflazione dell’Eurozona ha retto, grazie al ‘Qe’, e oggi è all’1,3% dal 2,4% di allora nonostante anni di spinte deflazionistiche. la disoccupazione è al 9,3% dall’11,4% di cinque anni fa, la crescita sfiora il 2% mentre allora era recessione.
Per i governi, le politiche della Bce dal 2008, agli inizi della fase espansiva che continua tuttora, ad oggi hanno prodotto 1.000 miliardi di risparmi sul finanziamento del debito pubblico abbassando i tassi sui titoli di Stato, secondo stime della Bundesbank sfiora l’11% del Pil contro il quasi 8% della Germania.
Oggi, a distanza di cinque anni e con il bilancio della Bce salito a 4.200 miliardi di euro, al 40% del Pil dell’Eurozona contro il 25% della Fed, i mercati sanno che la Penisola, allora percepita come un fattore di rischio maggiore della Grecia date le sue dimensioni, è in ripresa.