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Ispezione a Santa Maria Capua Vetere, il carcere dove l’acqua è rossastra e i detenuti temono per la salute

Si è conclusa la tre giorni di visite ispettive che Radicali Italiani, nell’ambito di un’iniziativa nazionale, ha sostenuto nelle carceri campane. Dopo Secondigliano e Poggioreale nelle giornate del 13 e 14 ottobre, domenica 15 la delegazione si è recata a Santa Maria Capua Vetere. Presenti un gruppo di militanti guidato da Raffaele Minieri, della direzione nazionale di Radicali Italiani, con la partecipazione di Pietro Ioia per gli ex detenuti organizzati di Napoli.

La casa circondariale casertana di Santa Maria Capua Vetere è tristemente noto per la mancanza cronica di acqua potabile con approvvigionamento mediante autobotti e per la vicinanza con il sito di San Tammaro per il trattamento dei rifiuti che rende spesso l’aria viziata, per usare un eufemismo. La struttura, diretta da Carlotta Giaquinto, ospita al momento 960 detenuti in un carcere progettato per ospitarne non più di 850. Presenti 900 ristretti di sesso maschile e 60 donne, detenute nel reparto Senna. Gli stranieri sono circa 200 in ossequio alla politica interraziale praticata a Santa Maria Capua Vetere. Qui infatti le celle sono miste e ospitano insieme italiani e stranieri. Attualmente sono 200 i detenuti che svolgono mansioni nel carcere, sebbene alla luce dei recenti aumenti delle paghe (circa 800 euro al mese) e di un budget invariato, si sia stati costretti a ridurre il numero di ore lavorate per poter garantire gli emolumenti.

Sono al momento attivi percorsi di istruzione che vanno dalle elementari alle superiori anche se il liceo artistico per le detenute non è ancora partito a causa di carenza di personale a disposizione del Ministero. Attivi per le donne anche laboratori di cucito dove si producono borse e zaini, venduti agli agenti o anche all’esterno, un centro estetico e corsi di scrittura creativa e writing. Obiettivo è quello di trovare cooperative che possano inserire lavorativamente chi esce dal carcere formato. Una carenza significativa dal punto di vista educativo è l’assenza di corsi di italiano per i detenuti stranieri. Gli uomini, a differenza delle donne, hanno meno occasioni formative se si eccettuano la scuola, la palestra, la biblioteca e qualche corso di teatro. I detenuti chiedono quindi opportunità che – come per le donne – possano consentirgli un reinserimento lavorativo una volta scontata la pena ma non ci sono i fondi, viene puntualmente risposto. “Non vogliamo stare con le mani in mano, vogliamo darci da fare”, ha esclamato un ristretto al passaggio della delegazione. Tutto dipende dal ruolo delle associazioni di volontariato, dato che risorse al momento non ce ne sono.

Anche dal punto di vista della qualità della vita c’è differenza fra il reparto Senna (femminile) e quelli come ad esempio il Tamigi (alta sicurezza) in cui soggiornano gli uomini. Dal punto di vista estetico il padiglione riservato alle donne appare più curato sia per quanto concerne le pareti colorate dalle detenute, i pavimenti puliti e le brande più nuove, che per “comodità” come le docce in cella. Per gli uomini invece nella maggior parte dei casi la doccia si fa in corridoio nell’apposita sala ma le condizioni generali (oltre alle dimensioni dello spazio) dei servizi igienici, dell’umidità e della fatiscenza della struttura è decisamente meno grave rispetto a quanto riscontrato altrove. Rispetto a Poggioreale, dove la zona bagno non è separata da quella cucina, qui almeno vi sono porte che separano le due aree. Le donne sono ristrette in celle che variano da 16 a 25 metri quadrati di spazio, dove soggiornano fino a quattro detenute. Celle per due invece nel reparto Tamigi, dove per i maschi vige il sistema dei letti a castello.

Il vero dramma del carcere casertano di Santa Maria Capua Vetere rimane la cronica assenza di acqua potabile. I detenuti non dovrebbero neppure lavarsi i denti con l’acqua che fuoriesce dai rubinetti, di colore rossastro per l’alto contenuto ferroso, per un problema imputato alla Regione. Così come problematica è la condizione degli ammalati: ad esempio pur essendoci un dentista non sempre è chiaro quali interventi siano coperti e quali no, con il risultato che in molti ricorrono al dentista privato pagato a proprie spese, anche solo per un’estrazione. Sebbene la direttrice si sia già rivolta all’Asl per avere delucidazioni in merito alle prestazioni da erogare, ad oggi permangono un’incertezza e una burocrazia che scatenano i propri effetti sui ristretti. Altra fonte di preoccupazione, la continua inalazione di gas e sostanze presenti nell’aria, provenienti da una vicina discarica e dalla lavorazione dei rifiuti nel non lontano impianto di San Tammaro. Col risultato di cattivi odori che avvolgono la struttura, penetrandola, in particolare di mattina presto e qui, a buon peso, siamo in piena terra dei fuochi. I ristretti temono dunque per gli effetti di questa continua esposizione e del continuo respirare aria inquinata, sulla propria salute. Quando poi un detenuto si ammala, ecco tempi lunghissimi per una visita o una tac e, anche dopo gli accertamenti, difficilmente si va oltre un mero tamponamento con medicinali non sempre adeguati.

A Santa Maria Capua Vetere non vige il regime delle celle aperte e dunque i detenuti possono sì trascorrere otto ore al giorno fra passeggio (in un’area grande e circondata da verde anche se non curato) e socialità ma non hanno la possibilità di girare nei corridoi. I detenuti lamentano l’essere trasferiti di volta in volta da una “gabbia più piccola a una più grande” riferendosi al grande salone della socialità dove, però, i ristretti trascorrono il tempo sempre e comunque rinchiusi. Dal carcere spiegano che la politica delle celle aperte non convince a causa dei rischi che possono derivare da possibili assembramenti nei corridoi o per tutelare coloro i quali non gradissero la presenza di altri nella propria cella. Altre rimostranze dei detenuti, i molti rapporti che subiscono anche per azioni semplici come passare una pentola da una cella a un’altra e le continue perquisizioni a cui sono sottoposti, due o tre volte a settimana, di mattina presto con tutti i disagi del caso.

Disagi che in misura differente scontano anche i pazienti ospitati nel reparto di salute mentale. Anche qui, come a Secondigliano, ci sono problemi derivanti dalla chiusura degli Opg e dalla mancanza di sufficiente vigilanza delle Rems. E’infatti accaduto che pazienti tentassero di evadere lanciandosi dai balconi, causando danni a sè stessi o ad altre persone. Per questo in molti tornano in un carcere che non sempre può adeguatamente gestirli in un unico reparto a loro dedicato, col risultato che alcuni malati psichici si ritrovano in cella con detenuti normodotati.

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