La legge elettorale regionale prevede un sistema proporzionale, con premio di maggioranza: le liste collegate al candidato Presidente ottengono almeno il 60% dei seggi, non più del 65%. La soglia di sbarramento è fissata al 3%: limite minimo che viene meno se la lista è a supporto di un candidato che abbia ottenuto almeno il 5% dei consensi. Il presidente della Giunta Regionale, invece, è eletto con sistema maggioritario a turno unico.
Questa sintesi sui contenuti della legge per l’elezione del Consiglio e del Governatore della Regione evidenzia il ruolo fondamentale che, nella partita per la conquista di palazzo Santa Lucia nel 2015, giocherà la figura del candidato alla presidenza e, soprattutto per l’area dei democratici e dei progressisti campani, la qualità e la forza trainante delle liste che, ad esso, sono collegate.
Allo stato attuale, però, nel panorama politico campano sembra mancare una figura in grado di serrare le fila e assumere un incisivo ruolo di guida nella competizione con il centrodestra: non possibile individuarlo né nella vasta area progressista né nel PD. Manca, dunque, un leader capace di coalizzare forze e movimenti politici e, soprattutto, di attrarre, oltre che i partiti, i consensi. Di contro, la Coalizione di centrodestra vede confermato un forte insediamento politico-elettorale sul territorio e, nonostante le attuali e note fibrillazioni al suo interno, ha tutto l’interesse a presentarsi compatta all’appuntamento elettorale, se non altro per il vincolo, storicamente e praticamente molto unificante, della gestione del potere.
È dunque necessario che nei prossimi dodici mesi il centro-sinistra lavori proprio sulla dimensione della sua leadership, sul suo progetto di governo e sulla costruzione di un’alleanza altamente competitiva. Si tratta di un lavoro non semplice, specie se si assumono come punto di partenza i dati ultime elezioni politiche: 35.62% di voti al centrodestra, 26% al centrosinistra.
Però, se nei mesi a venire, i democratici campani lavoreranno per cambiare verso in modo serio e coerente, l’impresa avrà possibilità di successo.
Tre appaiono le questioni prioritarie su cui concentrare l’iniziativa politica:
– la costruzione di una nuova leadership condivisa, inclusiva, collettiva, individuata mediante procedure aperte e realmente democratiche;
– la realizzazione di una nuova alleanza che inglobi forze organizzate (partiti e movimenti politici di area progressista-democratica) e non (movimenti e aggregazioni civiche/territori);
– l’intercettazione e la valorizzazione della volontà di protagonismo dei cittadini, dando ampio spazio a scelte partecipate e condivise, a cominciare dalla elaborazione di un progetto di governo per la Campania, nel quinquennio che si aprirà dal prossimo anno. Volontà intercettata, alle ultime politiche, da movimenti definitisi antipartitici.
Iniziativa ancora più urgente, date le circostanze. La principale coalizione avversa, il centrodestra, parte, infatti, da una posizione di vantaggio in termini di controllo del territorio, dalla maggiornaza in Consiglio e Governo Regionale all’amministrazione moltissimi enti locali. Dato cui si somma il timore di perdere tale potere. Questi due elementi avranno un effetto aggregante sulle forze in campo, inducendo il superamento delle spinte alla frammentazione che, in realtà, altro non sono che il frutto dei riposizionamenti in corso, all’interno di un sistema di potere consolidato, che mira ad arruolare le diffuse istanze trasformiste.
Altra incognita è data dal Movimento 5 Stelle. Se è vero che questo si sia ovunque presentato alle amministrative, regionali e locali, da solo senza mai conseguire un risultato comparabile a quello delle politiche del 2013, attestando un mancato radicamento territoriale, è pur vero che ha potuto annoverare un discreto consenso. Se, dunque, il Movimento non dovesse partecipare alle prossima competizione, si creerebbero le condizioni perché le forze democratiche e progressiste possano lavorare per recuperare quell’elettorato che potrebbe scegliere l’astensionismo. Laddove partecipassero, lo scenario delle prossime regionali potrebbe mutare: non due ma tre poli a concorrere. Insomma, è necessario che i democratici intraprendano un’umile ed aperta riflessione per l’elaborazione di una strategia che offra soluzioni positive alla ricerca di una nuova leadership condivisa e inclusiva; alla costruzione di alleanze, chiare e definite, con forze organizzate e non del campo progressista e democratico. Percorso che non può rinunciare ad un’apertura alla partecipazione attiva e reale dei militanti e degli elettori.
Altra sfida per il centro-sinistra campano è il superamento di quel complesso della sconfitta ereditato dalle ultime consultazioni regionali che hanno visto una netta affermazione della coalizione di centro-destra a sostegno di Stefano Caldoro. Una disfatta determinata da alcuni elementi fondamentali, primo fra tutti di analizzare, col necessario distacco, l’esperienza amministrativa dei precedenti dieci anni dei quali sono stati soprattutto gli ultimi cinque, dal 2005 al 2010, i più fallimentari. Anni in cui si è consumato il rovinoso distacco tra quelle forze politiche e il loro elettorato per l’incapacità di sollevare e affrontare alcune questioni fondamentali, come quella dei rifiuti, e di innovare l’azione amministrativa sui territori. Un’analisi necessaria non solo per prendere atto dei fallimenti e comprenderne le cause, per aggiustare il tiro, ma anche per fare un bilancio dei risultati conseguiti al fine di valorizzarli.
In conclusione, serve unità, capacità di dialogare ed innovare: al Pd aspettano 12 mesi di lavoro intenso per affrontare i quali serve solo coraggio.