“Orfani bianchi” è un libro che tratta un argomento doloroso e allo stesso tempo particolare: le centinaia di migliaia di bambini dei paesi dell’est lasciati a parenti o istituti dopo che le loro madri partono per fare le badanti in Italia. Bambini, raccontati dalla penna di Antonio Manzini, che hanno perso l’essenziale, ovvero la voce, il corpo, l’abbraccio di una madre. Sono gli “orfani bianchi”, appunto, figli di donne rumene, moldave, ucraine costrette a partire dalla disoccupazione dilagante e dall’assenza, quasi sempre, degli uomini, spesso violenti, uomini che fanno un uso improprio dell’alcol e si trasformano usando violenza. Questi bambini poi crescono, diventano adolescenti e si convincono che l’unico gesto disperato per far tornare la propria madre a casa sia il suicidio. La protagonista, Mirta, è una donna moldava, e fa la badante in Italia. Il libro è punteggiato dalle sua e-mail piene di vita e di amore che manda al figlio Ilie: come tutte le madri, anche Mirta è concentrata sui bisogni di suo figlio, e gli descrive tutto ciò che gli arriverà nel prossimo pacco, insieme ai soldi , innuna mail si legge : “Ti ho mandato due paia di scarponcini figlio mio. E hai il piumino. I guanti e il cappello”. La sua vita ha un solo scopo: mandare i soldi al figlio e alla madre, e provare a tutti i costi a ritornare a vivere con loro, è questo il suo unico obiettivo. In Italia dove una stanza arriva a costare, come dice la protagonista in una delle tantissime mail, anche 500 euro.E dire che alla fame di case di queste donne si contrappongono gli enormi appartamenti vuoti delle anziane che si trovano a badare . Donne spesso di famiglie ricche, brutali e scortesi, sempre infelici, ignare del dramma delle altre donne che le lavano, le girano ogni due ore per evitare il decubito, le imboccano e le puliscono, compiendo ogni giorno riti di una fatica infinita, che nascondono anche a se stesse. Ma la sorte può essere ancora più cattiva e far finire, come capita a Ilie, in una specie di orfanotrofio, quando la nonna muore in un incidente . Tuttavia, Mirta resta a Roma, una Capitale che appare come ingrata e avara verso i suoi cittadini e ancor più verso gli stranieri. Resta in una città bella mentre suo figlio giace in un casermone grigio, senza luce, solo mentre la madre si tortura il pensiero pensando che Ilie possa suicidarsi. Manzini ci porta a guardare il mondo attraverso gli occhi stanchi e dolorosi di una badante, partita dalla Moldavia con il cuore spezzato che mai potrà ricucire .